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mercoledì 31 dicembre 2014

Arresto dei dissidenti a Cuba, la condanna degli Stati Uniti


Due settimane dopo il disgelo tra Stati Uniti e Cuba le autorità cubane hanno arrestato diversi dissidenti del governo, tra cui il marito della blogger Yoani Sánchez e l’artista Tania Bruguera

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ORE FA

Gli Stati Uniti condannano l’arresto dei dissidenti a Cuba



Gli Stati Uniti sono “profondamente preoccupati” per l’arresto di diversi dissidenti a Cuba, tra i quali il marito della blogger Yoani Sánchez, due settimane dopo l’annuncio di una distensione delle relazioni diplomatiche con l’Avana.

“Molte persone sono state portate in prigione, altre sono state poste agli arresti domiciliari”, ha confermato Elizardo Sánchez, portavoce dei dissidenti a Cuba. L’intervento della polizia era stato reso noto ieri da Yoani Sánchez attraverso il suo account Twitter.


“Siamo preoccupati dalle ultime informazioni sugli interrogatori e gli arresti di attivisti della società civile da parte delle autorità cubane”, ha dichiarato il dipartimento di stato in un comunicato stampa. “Condanniamo l’uso ripetuto della detenzione arbitraria degli attivisti con cui vengono messe a tacere le critiche e vengono ostacolate pacifiche assemblee pubbliche per intimidire i cittadini. Chiediamo al governo di Cuba di fermare questa pratica di repressione e rispettare i diritti umani universali dei cittadini”, ha aggiunto. Reuters, Askanews

giovedì 18 dicembre 2014

Cuba-Usa, se Obama cita Josè Martì e riconosce che non solo loro sono americani

da :  http://ilvecchioeilmare.blogspot.it/
di Gennaro Carotenuto





Dopo oltre mezzo secolo di fallimentare politica d’isolamento, come ammette coraggiosamente Barack Obama, le relazioni tra Stati Uniti e Cuba vivono questo 17 dicembre 2014 un nuovo storico inizio. “Per oltre mezzo secolo abbiamo fatto la cosa sbagliata sperando che Cuba collassasse, ma ciò non è accaduto”. Cuba non solo non è collassata ma, come solo gli informatori onesti hanno raccontato, da oltre due lustri ha rotto l’isolamento teso dalla superpotenza del Nord e incrudelito dopo la caduta del muro di Berlino, rendendo quell’embargo inutile e antistorico.
Che piaccia o no, la Rivoluzione cubana è così sopravvissuta non solo al fallimento del socialismo reale ma anche a quello del neoliberismo reale, le atrocità del quale, la fame, la violenza, la dissoluzione di parti fondamentali della convivenza civile date dallo stato sociale, sono state risparmiate in questi decenni al popolo cubano. Il processo che inizia oggi con il ristabilimento delle relazioni diplomatiche, e una lunga serie di misure che comportano una significativa apertura reciproca tra i due paesi, compreso lo scambio di prigionieri che mette fine alla vicenda dei cinque antiterroristi cubani detenuti negli USA, e che prosegue con la battaglia parlamentale per l’eliminazione di un embargo che negli USA è legge dello Stato, è stato reso possibile da una serie di fattori.
Il primo è che la resistenza del popolo cubano in tutti questi anni si è dimostrata essere non ideologica ma rispondente a precise esigenze storiche nazionali. Che piaccia o no, – nonostante in particolare nei primi anni Settanta abbia vissuto periodi opachi – Cuba non è mai stata il gulag tropicale descritto dal modello disinformativo mainstream. In un paese dove circolano liberamente milioni di stranieri non si sopravvive alla crudezza del periodo speciale senza un consenso di massa, che non può essere basato sulla repressione. Questa partita, che doveva concludersi con la capitolazione dell’isola e la sua sottomissione al gigante del Nord, passa invece dal riconoscimento della dignità e della sovranità di Cuba, qualcosa di elementare che da Kennedy a Bush nessun presidente statunitense aveva mai pensato di fare.
Quello che muore definitivamente oggi è dunque l’emendamento Platt, quell’articolo inserito dagli USA nella prima Costituzione dello stato cubano dopo la fine del colonialismo spagnolo, che sanciva che l’indipendenza di Cuba fosse condizionata agli interessi degli USA. Gli USA non hanno riconosciuto le ragioni della Rivoluzione ma oggi si sono dovuti inchinare di fronte alla dignità del popolo cubano che avevano sempre negato in 116 anni di storia. Non dev’essere stato facile per Obama citare José Martí e ammettere che «todos somos americanos» così come Raúl nel chiedere rispetto per Obama comincia a smantellare una parte della retorica rivoluzionaria.
Ciò non significa né la risoluzione dei conflitti tra i due paesi, né il declinare di differenze sostanziali su libertà individuali ed economiche, sulla forma dello Stato e sul concetto di democrazia. In quest’ambito, l’apertura necessaria per Cuba, un paese che continua a vivere in situazione di notevole penuria, è appena all’inizio. Cuba, la Rivoluzione, la società cubana saranno da domani chiamate ad accettare una sfida sulla quale è impossibile fare pronostici: più interscambio economico e culturale, più contatti, più rimesse, più facilità di spostamenti modificano oggettivamente la situazione. Si amplierà un processo che, al di là delle dichiarazioni modificherà nel profondo il modello socialista provando a salvare le conquiste della Rivoluzione. Solo tra qualche anno sarà possibile capire in che direzione e se il saldo sarà positivo. Molti – nei due campi, soprattutto da lontano – possono cominciare a storcere la bocca fin d’ora. Potremmo costruire un dizionario dei termini sui quali cubani e statunitensi non trovano un accordo, da libertà a democrazia a diritti umani. Sapendo che nessuno ha l’esclusiva sulla ragione e sulla verità, da domani potranno finalmente dialogarne.

TODO CAMBIA
Tutto ciò accade in un momento storico nel quale gli USA devono prendere atto che il loro ruolo del mondo e nel Continente è quello di una grande potenza non più onnipotente. Le strutture regionali, da Unasur al Mercosur, hanno oscurato negli ultimi anni la primazia degli USA e il ruolo della OEA. In ogni sede Cuba può contare sull’appoggio di tutti i paesi più importanti della regione, a partire dal Brasile. Prima Hugo Chávez, poi tutti gli altri leader integrazionisti latinoamericani, da Lula a Correa, da Evo a Kirchner a Mujíca, avevano riconosciuto a Fidel Castro e alla Rivoluzione cubana una primogenitura morale che si può ritrovare nella storia delle generazioni che hanno lottato e perduto contro dittature e regimi neoliberali, per vedere riconosciute le loro ragioni solo in questo scorcio di XXI secolo.

Un altro attore diplomatico va citato in questa vicenda. Nel 1998 il viaggio a Cuba di Karol Wojtyla era stato il primo segnale della fine dell’isolamento; Joseph Ratzinger aveva risolto ogni conflitto tra Santa Sede e Cuba; Jorge Bergoglio ha riportato la diplomazia vaticana ad un ruolo centrale nella regione. Paradossalmente la debolezza dell’anatra zoppa Obama ha fatto il resto, rendendo possibile quanto aveva cominciato a preparare già dal 2006 l’ex ministro degli esteri cubano Felipe Pérez Roque, che, forse per il passo eccessivamente veloce, ci rimise la carriera. Per quanto difficile possa essere ora la battaglia parlamentare negli USA per la cancellazione dell’embargo, il cammino appare segnato. Comincia un dialogo difficile ma basato sul riconoscimento dell’altro e della differenza, basato sul rispetto della reciproca sovranità e autodeterminazione. Nostalgici della guerra fredda astenersi.

Wendy Guerra. Senza embargo?




Lo storico 'preambolo' ai funerali di Mandela 
17 Dicembre 2014
Ci siamo svegliati con la notizia che Alan Gross “imprenditore americano” o “nemico della rivoluzione” (a seconda della fonte del comunicato) è stato liberato e si dice che in cambio ci manderanno gli “eroi” o “spie”, (dipende dall’emittente che trasmette la notizia).
All’Avana il popolo commenta che a partire da oggi la politica tra Cuba e gli Stati Uniti cambierà.
Si dice che cambierà il rapporto con “gli yankee” e che poco a poco verrà tolto il blocco (embargo).
Tutto questo sarà vero?
Noi cubani non abbiamo notizie, è solo una voce che da stamattina all’alba si rincorre da un isolato all’altro.
All’angolo, al negozio di alimentari, alla fermata dell’autobus la gente dice che Obama e Raúl terranno un discorso alle 12 per annunciare “qualcosa”. Che cosa annunceranno? Non lo sappiamo.
La metà dei nostri affetti oggi vive negli Stati Uniti. Così vicini e così lontani! Da Miami o New York, da Los Angeles o Chicago, da qualunque città del nord noi cubani riceviamo ogni giorno notizie, medicine e spedizioni famigliari. Nemici intimi, viviamo aspettando il modo di rincontrarci, di riallacciare le nostre vite, di riattaccare la pellicola che per 50 anni e che generazione dopo generazione la politica ha interrotto.
Non ci resta che aspettare. Non ci resta che sperare che, mentre noi dormiamo i due governi si mettano d’accordo.
Una donna come me, nata a Cuba nel 1970 ha trascorso tutta la sua vita, è cresciuta e maturata nell’embargo, ha vissuto e vive bloccata. Morirò nell’embargo? Come sarebbe vivere in una Cuba senza embargo?
Oggi è il 17 dicembre 2014, giorno di San Lázaro, data sacra per molti cubani, noi tutti chiediamo, desideriamo, mormoriamo la possibilità di un cambiamento.


Wendy Guerra
(Habáname, 17 dicembre 2014)
Traduzione di Silvia Bertoli

“Sono un demonio che scrive ciò che sente” 

Yoani Sánchez intervista Wendy Guerra per 14ymedio
11 Dicembre 2014
Intervista di 14ymedio
a cura di Yoani Sánchez


Imbarcazioni che si incrociano nella notte e comunicano al loro passaggio, solo un cenno e una voce distante nell’oscurità, così, nell’oceano della vita ci incrociamo e comunichiamo, solo uno sguardo, una voce e poi l’oscurità e un silenzio.
Henry Wadsworth Longfellow



Tra tre giorni (oggi, per chi legge qui, ndr) compirò 44 anni e tra cinque verrà finalmente presentato all’Avana il film Todos se van, diretto da Sergio Cabrera, basato sul mio primo romanzo omonimo. Nel bel mezzo di tutti questi avvenimenti, Yoani mi scrive per farmi un cortese invito: in un paese in cui nessuno parla di me sulla stampa o in televisione, è lei con il suo giornale14ymedio a decidere di fare il gran passo e chiedere di me da una parte all’altra del Malecón dell’Avana.
Io e Yoani viviamo nella stessa città, ma ci vediamo solo da lontano, e, come imbarcazioni che si incrociano nella notte ci mandiamo segnali di fumo e parole. Strizzatine d’occhio, disegni e un certo mistero di velato silenzio ci avvolgono dal muro di acqua e sale. Invito i miei lettori di Habáname a leggere la sua splendida intervista e a navigare in questa pubblicazione nata all’Avana.
Mille grazie a lei e ai suoi collaboratori per essere stati i primi a intervistarmi nella mia terra.

Qui per leggere l'intervista (di seguito la nostra traduzione, ndr).
Qui per la traduzione italiana













Wendy Guerra
(Habáname, 8 dicembre 2014