Ancora un
racconto di vita che può interessare il turista curioso.
Niki - La Habana 2015
Era sera, il
pomeriggio precedente una tormenta elettrica, di quelle realmente pericolose,
con le sue piogge torrenziali, le scariche elettriche e gli annessi e connessi,
che ti fa ricredere sulla bellezza e la stabilità della maggior parte dei
palazzi di tutta la città, compresi quelli stile scenografia da Cine Città del
centro storico, dove le facciate danno l’aspetto di un restauro perfetto fatto
con canoni di eccellenza ma concluso
solo alla facciata in bella vista, lasciando immutate le strutture portanti e
tutti gli appartamenti e gli alloggi da sempre occupati da cittadini pazienti e
disillusi, un po’ estenuati.
Fine aprile
2015, mese da citare sugli annali del libro mastro dell’ente nazionale
meteorologia, forse una 25ina di anni che non si registravano temperature così
elevate e scarsità di precipitazioni nel mese di aprile.
Ma quel
pomeriggio pareva che il cielo volesse rimettersi a pari con un solo
acquazzone!
Oltre tre
ore di tempesta con pioggia torrenziale, e fulmini direttamente sul centro
della città, dopo che da una settimana la televisione continuava ad emettere avvisi
di pericolo, ed io tutte le sere ammiravo dal balcone questa fatidica tempesta
che continuava tutte le notti a rendere l’oceano un palcoscenico dove si replicava
la medesima scenografia da diverse sere, una specie di battaglia navale del xx
secolo, con missili luminosi, esplosioni e a tratti sordi e potenti rombi di
tuono.
Fu così che
quel fatidico pomeriggio dopo tanti giorni di attesa l’enorme gruppo di
cumulonembi atterrò con destinazione finale Casco Historico, avana Centro e
Vedado.
Personalmente
in quel dunque ero a trovare una gentilissima signora di fede Rasta, una delle
comunità più grandi e forse la prima tollerata dal regime che ora ne ha ben
altre da controllare.
La sua
piccolissima dimora situata in calle Cuba, a due passi da calle Obisbo era un
monolocale al piano terra raggiungibile attraverso un labirinto di cunicoli che
depistavano tutti gli improbabili
avventori senza invito.
Visita di
cortesia che declinò per una più larga e confidenziale permanenza data dall'impossibilità di muoversi in un città restaurata diventata all'improvviso favelas.
Il portico
davanti all'uscio difeso da lamierini
era improponibile nemmeno per una doccia propiziatoria, quella della prima
pioggia di maggio, faceva anche freddo ora.
Quindi tutti
i mariti in successione della non troppo anziana signora, compreso l’ultimo, il
peggio, e sua figlio ora in galera per i soliti contrabbandi, e una dimora,
tenuta su più dall'orgoglio che dai muri esterni.
Dopo circa
tre ore e incoraggiato da una lieve calma mi armo di una buona dose di coraggio
e mi avventuro ritrovando l’uscita dai cunicoli devo dire asciutti e riparati
per arrivare alla strada dove tutto
pareva laguna, fiumi di acqua si intersecavano agli incroci, in alcuni punti la
corrente era forte e l’acqua arrivava ai ginocchi, ma saltando, usando mattoni,
muovendosi con l’agilità che solo qui e in queste situazioni si ritrova, riesco
ad arrivare ad Obisbo senza quasi bagnarmi le caviglie.
La città si
risvegliava da una siesta insolita.
Le
formichine riuscivano dalle tane e tornavano a farneticare in strada, un attimo
di calma e tutto era quasi come prima del diluvio
Prendo la
mia strada, devo percorrere alcuni km in mezzo alla parte più cadente del
centro cittadino e i pericoli oggi tanti, per chi li conosce.
Un primo
masso mi precipitò a circa cinque metri con un enorme e sordo fragore.
Il signore
con cui dividevo la rotta, anche lui nella stessa direzione fece un salto come
me, e scambiandosi due battute procedemmo con le precauzioni del caso e
soprattutto del primo sole dopo la tempesta, camminare esattamente al centro
della strada, per stare più lontano possibile dai cornicioni, che dopo
l’ammollo con il repentino asciugamento
dovuto dal calore e dal sole che tornava erano pericolosissimi, destinati qu
ali
erano ad una sconfitta imminente alla legge della gravità che stavano
combattendo dal lontano 1600….
Arrivai alla
mia dimora incolume e contento, interessato all'avvenimento che non avevo mai visto così da vicino e cosi potente.
Era quasi
notte, si cominciavano a contare i danni e Radio Bemba ( la radio più affidabile
del paese, quella del passa parola), cominciava a dare i primi notiziari sulle
condizioni della città e sugli allagamenti.
Pareva che
tutta la zona dietro il Centro di Interessi americani l’edificio del SINA, sul
Malecon, che era sotto il livello del lungomare
fosse finita sotto un paio di metri di acqua e che tutte le dimore situate al
piano terra e sottoscala siano state completamente allagate.
Poi un paio
di morti in giro o forse 3 , no erano 4!!!! Ci devi contare anche il ragazzo
con il calesse!!!.. e la sua imprudenza e sfortuna.
Il
proprietario del calesse e del cavallo che stava di stanza vicino all’Avenida
del Puerto dove sostano appunto i calessi, quelli che per pochi cuc scorrazzano
i turisti per il centro storico, al
momento più forte della tempesta vide il suo cavallo con una zampa in un buco,
e senza pensare al cavo che penzolava dall'alto, o magari pensando che si c’era un cavo dell’alta tensione ma
con quel fracasso era certo che fosse stata tolta l’energia elettrica, si
apprestò a dar una mano alla sua fonte di sopravvivenza e chiuse il circuito..
il cavallo con i suoi zoccoli era isolato dalla terra e a questo si presto il
ragazzo con il suo corpo bagnato, un lampo , un rumore strano, forte e fulmineo
accompagnato da un bagliore accecante
posero fine al cavallo e al suo giovane padrone.
Calava la
notte senza energia elettrica in quasi tutta l’enorme città, dove era possibile
dormire ed essere immuni agli attacchi delle zanzare previo avere una buona
copertura da ventilatori al massimo sparati sul corpo, ma come da accadimenti pomeridiani la
corrente non c’era!
All'incrocio di avenida 23 e calle L, proprio di fronte alla gelateria Coppelia, dei cavi
erano saltati e tutta il quartiere era al buio,
come d'altronde tutta la città per motivi diversi.
I tecnici
uniti agli agenti di polizia e numerosi cittadini curiosi stavano affannandosi
con mezzi idonei alla riparazione che si prevedeva molto lunga.
Io mi accostai
in camera, la nostra camera avanera, due letti matrimoniali di solito pieni di
gente, dormire in 5 , 6 persone in una camera è considerato normale e in due
letti matrimoniali quasi un lusso da queste parti, oltre la cortina che separa
la vita normale dalla vita turistica.
Ma verso la
mezzanotte con il corpo bagnato dal sudore e le zanzare che senza la barriera
dei ventilatori avevano campo libero, la sofferenza nel cercare il sonno era
diventata insopportabile.
Con una
scatto di nervi mi misi i pantaloni e la maglietta e fuggi per la strada
sottostante in cerca di brezza notturna.
Sulla strada
molti avevano avuto lo stesso pensiero, las calles erano piena di gente che
passeggiava e parlava e prevedeva quando la corrente fosse tornata.
Il gruppo
più numeroso era quello vicino a dove i tecnici lavoravano, ma tutto il
quartiere era pieno di comuni cittadini accaldati, i turisti no non se ne
vedevano, nei loro hotel e case particolar ben fornite avevano corrente di
emergenza che li teneva completamente fuori da questi accadimenti.
Continuai il
mio giro ed arrivai alla zona allagata.
L’acqua era
andata via e solo alcune case avevano cominciato a tirare fuori tutto quel che
contenevano irreparabilmente bagnato dalle acque.
Girando
senza meta attraversai piccoli barrii senza storie importati, zone evitate dai
turisti e da chi non vi risiedeva, zona un poco malfamate dove però nel comune
disagio si trovavano persone affabili e
dalla battuta pronta in ogni circostanza.
Non parlate
mai con gravità degli accadimenti, i Cubani sono superstiziosi e comunque
sempre pronti all'umorismo disarmante in qualsiasi condizione, come per
elevarsi dalla realtà quale essa sia.
Poi all'improvviso e suppergiù e rispettando le previsioni la città riprese
lentamente ad illuminarsi, e con la medesima lentezza le strade ancora buie in
attesa del nuovo sole si vuotarono e potei anch'io tornare a casa dove una
batteria di ventilatori ronzava allegramente nel correre del tempo, a regalare
un minimo di conforto e la normale condizione notturna che conoscevo e che mi
permetteva un sonno riposante.
Gli
apagones, in castigliano apagar significa spegnere, quindi letteralmente si
potrebbero tradurre in “spegnimentoni”, sono un fenomeno molto legato alla
cultura ed al modo di vivere cubano.
Negli anni
del primo periodo especial, che coincide con i primissimi anni della perestroika
e della caduta del muro di Berlino, gli anni 1990 - 1991, furono anni
terribili, dove la sopravvivenza della nazione dopo la fine della guerra
fredda, la dissoluzione della Unione Sovietica e dei conseguenti cospicui aiuti
della Russia, è stata una vittoria dell’intero popolo cubano che con sacrifici
per noi inimmaginabili riuscì a sopravvivere sotto un embargo quasi totale,
senza aiuti esterni, e con un’economia disastrata, allora come oggi.
I risparmi e
le mancanze toccavano tutti i punti più sensibili compreso quello dell’energia
elettrica che fini per esser razionata.
Nelle grandi
città gli apagones erano programmati sia con orari stabiliti sia per perimetro.
Quindi capitava spesso che in un quartier mancasse l’energia elettrica mentre
in un altro no. Questo portava un ulteriore elemento a favore della fraternità,
della solidarietà e del comune senso di appartenenza alla città.
Quindi se
una festa era programmata a casa di tizio che però in quella sera non aveva
corrente a casa si spostava a casa di caio, che invece quella sera era fornita.
Poi tutte le
serate al buio, lievemente illuminati da candele, aiutavano le conversazioni
data anche l’impossibilità di restare in casa a quelle temperature e senza il
confort di un ventilatore.
Erano,
queste interruzioni di corrente, entrate nella consueta vita delle città e
delle campagne, sia le città grandi che quelle piccole, sia le campagne delle
pianure ben servite da acquedotti e aziende con prospettive moderne sia nei
campi sperduti sulle montagna dove in realtà la corrente non era una priorità
delle più grandi.
Era però una
situazione di cui tutta la gente sapeva cause, motivi ed eventuali remote
soluzioni.
Da dire che
il problema oggi, 15 anni dopo il 2000, e ben 25 del primo periodo especial,
non è ancora risolto completamente, si tappano continuamente buchi, e si
tentano soluzioni alternative e rinnovabili, e questa scienza messa in pratica
con limitatissime soluzioni tecniche di ultima generazione, tenute fuori dal
pesante embargo statunitense, è una lotta continua, tra eccezionali trovate
tipiche del popolo cubano, tipiche semplici e risolutrici.
Quando la
necessità acuisce l’ingegno, e quando questa formula si vuole verificare e si vuole posizionare geograficamente, è
indubbio che bisogna studiare meglio le soluzioni cubane, in questo come in
tantissimi altri campi, dalla medicina che si fece omeopatica, all’agricoltura
che diventò biodinamica e assistita da batteri antiparassitari, alla locomozione dove 4 ruote e un motore
fanno spesso un buon “carro”.
Ora non sto
qui a salutare queste conquiste dovute più dalla mancanza e alla necessità che
per spirito innovatore e naturalista, ma voglio con queste due righe ricordare
a chi per svago, per una curiosità
indotta o per retaggi ideologici viene a Cuba magari solo a rilassarsi, che
quello che vive e le comodità che compra non sono dovute al popolo oriundo che
quelle medesime cose le deve conquistare ogni giorno, siano pan con cipolla o un ventilatore
funzionante.
Magari un
giorno, quando affacciati al proprio
balcone sorseggiando un drink gentilmente offerto dalla casa dove si è
affittuari, l’occhio vi cadrà inequivocabilmente su qualche cosa che di solito
si tenta di coprire, che sia una abitazione pericolante, o un solar pieno di
letti, o delle cisterne per acqua arrugginite, sappiate che nello stesso
momento che voi state godendo di questa meravigliosa opportunità sudata e
conquistata, forse a fatica, durante un anno lavorativo nelle vostre patrie, un
popolo intero lotta in silenzio per ciò che voi, noi, abbiamo per scontato in
partenza, per dirne una l’acqua , calda o fredda che sia.
E mi
raccomando, non lasciate questa terra senza ringraziare.
Senza
ringraziare quelli che soffrono ma con sorriso sulla labbra, quelli che per voi
si fanno in quattro, quelli che son pronti ad aiutarvi quando sarebbero loro
che voi dovrete aiutare, quelli che naturalmente vi accolgono con un sorriso e
vi lasciano con un caloroso arrivederci, quelli che non dimenticheranno i
vostri occhi nel tempo insieme ad ogni piccolo vostro gesto di affetto.
Abbiamo
tanto da imparare dalla semplicità, noi oramai sterili e quasi senza più
sentimenti da evocare.
Andiamo
quindi non solo a scoprire i tanti cayos e le splendide spiagge, le belle mulatte,
i balli coinvolgenti, ma ogni tanto guadiamoci in giro, mentre stiamo facendo
la vita da nababbi c’è sempre qualcuno molto vicino che soffre in silenzio e
con il sorriso sulle labbra lavora per
il nostro benessere.
LA Habana
Aprile 2015