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mercoledì 18 febbraio 2015

Ángel Santiesteban-Prats. La Fiera del Libro che ormai non c’è (I)



18 Febbraio 2015
  
Ricordo sempre piacevolmente come “nostri anni felici” l’ambiente che circondava quelle Fiere Internazionali del Libro a Pabexpo.



Ogni anno, nel mese di febbraio, più che l’incontro dei libri celebravamo il ritrovo degli esseri umani. Fratelli di lettere che provavano a raggiungere quel sogno comune di diventare scrittori riconosciuti dai lettori. All’Avana, come anfitrioni, accoglievamo i nostri colleghi con l’allegria con cui si aspetta un “parente del settore”, e gli abbracci facevano male mentre la loro forza ci obbligava a far uscire il fiato, e dopo lo stordimento raccontavamo gli ultimi avvenimenti culturali del mondo che penetravano nel paese per bocca di quelli che viaggiavano fuori dall’isola e si arrischiavano a raccontare quella realtà a noi ufficialmente proibita, quelli di dentro, perché allora non esisteva la posta elettronica, il cellulare e ancor meno internet, o almeno noi, mai ne avevamo sentito parlare.
Allora arrivava il capitolo in cui confessare i problemi personali, familiari e anche di amici o vicini che mai avremmo conosciuto e che, a quel tempo, ci toglieva il sonno perché avevamo già la sensibilità a fior di pelle. Poi, senza che potessimo evitarlo, si discuteva della censura, della persecuzione e dell’assedio dei funzionari, dei politici e dei membri dei servizi di sicurezza, soprattutto nelle province lontane dalla capitale, abusi istituzionali, e allora raccoglievamo firme solidali per la cessazione immediata di quelle pressioni democratiche e ideologiche, e lo facevamo superando la paura, le notorie conseguenze per il nostro atteggiamento di affronto al potere, forse furono quelli i nostri primi atti di dissidenza.
Gli atti di abuso che più ricordo, tra tanti, furono il pestaggio dello scrittore Jorge Luis Arzola a Jatibonico, quando dopo essere uscito da un seminario letterario a cui era stato invitato per leggere un racconto e provava a tornare al suo paese venne imprigionato, picchiato perché faceva resistenza, poi tirato fuori dalla cella da una guardia che lo colpì di nuovo, fino a lasciarlo stremato, fregandosene del suo minuto corpo da giovane, la sua voce profonda a difendere la sua innocenza; o quando a Matanzas la Sicurezza di Stato fece irruzione a un evento di poeti a cui presenziava la poetessa Carilda Oliver Labra e picchiò tutti, inclusa la stimata artista, e tutto argomentando che in quello spazio culturale venivano lette poesie contro il governo; o l’espulsione di Guillermo Vidal dal posto di insegnante al pedagogico di Las Tunas; o Amir Valle, che fu costretto ad abbandonare la sua città natale Santiago de Cuba, e a metà della sua carriera si spostò verso L’Avana, mentre fuggiva all’inseguimento della polizia politica per aver formato quel gruppo chiamato “Los seis del Ochenta”, pensando che frapponendo quei cento kilometri lo avrebbero lasciato in pace, e grandi furono il suo stupore e la sua sorpresa quando i membri dei servizi di sicurezza apparvero alla Facoltà di Giornalismo dell’Università dell’Avana e interruppero la lezione per tirarlo fuori dall’aula e interrogarlo con domande capziose sempre sugli altri, i suoi compagni di gruppo.
I lettori si domanderanno come, nonostante tutte queste sventure, potrà questa epoca risultare nostalgica, ed è che per questo allora abbiamo avuto la forza di restare uniti. Ma c’è di più
Prisión Unidad de Guardafronteras. La Habana. Febrero de 2015.

Ángel Santiesteban-Prats
(da Los hijos que nadie quiso, 16 febbraio 2015)

Traduzione di Silvia Bertoli

lunedì 9 febbraio 2015

La svolta di Cuba: tra le bandiere americane, il tabù violato nelle vie dell'Avana



Arrivata sull'isola la prima delegazione governativa Usa. La gente già sogna nuovi business. Ma Raúl Castro non sembra disposto a cedere molto. E tanti ragazzi ancora pensano alla fuga



L'AVANA - Vedere una bandiera a stelle e strisce che ondeggia su un edificio della capitale cubana non è più un tabù. Una l'hanno messa sul Saratoga, l'albergo che la settimana scorsa ha ospitato la prima missione parlamentare di democratici Usa dopo lo scambio delle spie del 17 dicembre e l'alleggerimento dell'embargo. L'altra l'ha esposta sul suo balcone Estrella, una dottoressa cubana che affitta ai turisti due camere nella sua grande casa del Vedado, un vecchio quartiere elegante del centro dell'Avana. "Non mi faccio illusioni  -  commenta lei  -  la strada è lunga: ma ormai il disgelo è iniziato. Io sono pronta a ospitare americani, la mia casa è smoke free ". E ieri, mentre la delegazione governativa guidata dal segretario di Stato per l'America Latina, Roberta Jacobson, iniziava le trattative con il governo cubano per il pieno ripristino delle relazioni diplomatiche, interrotte dal 1961, e lo scambio di ambasciatori, una serie di bandierine americane svettavano dalle noci di cocco della bancarella di un venditore ambulante.

I cubani sono rapidi nel cogliere la direzione del vento. Dopo questa prima serie di incontri ad alto livello, entro qualche mese è prevista la prima missione con fini commerciali organizzata dal governatore democratico di New York, Andrew Cuomo. Poi, è questa la road map della Casa Bianca, prima della fine dell'anno, Barack Obama spera di convincere il Congresso a abolire " el bloqueo" liberando tutte le potenzialità di una pace che molte lobbies economiche negli Stati Uniti vedono come il prossimo business.

E' evidente che il governo americano vuole bruciare le tappe ma Raúl Castro non sembra disposto a concedere granché, almeno per ora, né riguardo ai diritti, umani e politici, né sul controllo dello Stato sull'economia. Nonostante le riforme, avviate dopo l'uscita di scena di Fidel Castro nel 2008, le attività private che si possono svolgere sull'isola sono poche e poco importanti: taxisti, barbieri, meccanici. Tutto il resto è proibito e dominato dalla gestione di Stato. L'apertura al mercato è lenta e confusa. Così nel Congresso Usa lo scenario sulla svolta presidenziale rimane molto incerto come si è potuto vedere anche martedì, nel giorno del discorso sullo Stato della Nazione, quando il repubblicano Marco Rubio ha invitato al Senato dirigenti dell'opposizione cubana contrari alle aperture della Casa Bianca.

Per ora le nuove regole di Obama facilitano i viaggi a Cuba, anche se non quelli "turistici", e aumentano fino a duemila dollari a trimestre la quantità delle rimesse che i cubani residenti negli Stati Uniti possono inviare ai loro parenti sull'isola. Ma già da qualche tempo circa 70mila statunitensi ogni anno visitano Cuba, molti "triangolando" con uno scalo intermedio in Messico o in Canada per aggirare il divieto, e nel corso del 2015 si prevede che raddoppieranno, protetti dietro la giustificazione di missioni accademiche o umanitarie. Però, oggi, più che l'onda dei turisti, i cubani si attendono dall'America investimenti e commerci.


Se si esclude la zona di Habaguanex, la piccola holding fondata da Eusebio Leal, un intimo amico di Fidel Castro, che possiede a ridosso della Plaza de Armas e dell'Ambos Mundo, l'albergo di Hemingway, ristoranti, bar, posadas e birrerie, completamente restaurati, l'Avana ha l'aspetto di una città terremotata, tutta da ricostruire. I bellissimi edifici in stile coloniale sul Malecòn, il lungomare, cadono a pezzi. E il resto è peggio. Facciate malandate, finestre assenti, scale pericolanti. Al tramonto, molte vie della città, sprofondano nell'oscurità per l'assenza di illuminazione stradale.

Quello che sperano, da una parte e dall'altra dello Stretto della Florida, le generazioni più giovani e meno coinvolte nella vecchia battaglia ideologica fra il regime e l'esilio, è una piena liberazione delle relazioni, dei commerci, degli spostamenti. E questo sarà possibile solo con la totale abolizione dell'embargo, che frena scambi e investimenti. Oggi i divani delle hall dei grandi, e piuttosto decrepiti, alberghi di Cuba sono presi d'assalto da ragazzi, i bloggers, che comprano le tesserine per la connessione a Internet, dieci euro per un'ora, e ci trascorrono gran parte della notte navigando nel mondo globale. A loro poco importa chi governa. Vogliono solo avere le libertà di tutti gli altri giovani della loro età. Così uno degli effetti indesiderati della svolta è l'aumento dei giovani cubani in fuga che arrivano alle frontiere degli Stati Uniti. A spingerli è il timore che, con la fine dell'embargo, venga abolita anche la legge che consente loro di godere automaticamente dell'asilo politico se toccano terra americana. E' la famosa " Wet feet, dry feet ", la regola dei "piedi bagnati, piedi asciutti", che rappresenta da mezzo secolo uno straordinario privilegio concesso agli immigrati cubani rispetto a tutti gli altri. I visti per il Messico si comprano abbastanza facilmente, poi basta arrivare a Tijuana, raggiungere il posto di frontiera e gridare: "Sono cubano!", per passare senza problemi dall'altra parte e viaggiare verso la Florida e Miami, dove molti hanno parenti e un lavoro che li aspetta.

Sono le mele avvelenate di una pax americana che è ancora lontana dall'essere efficace su un regime che conserva gelosamente tutte le sue censure. "Meglio andar via", commenta

Lazara, che ha fatto giorni di code al consolato canadese per ottenere un visto d'uscita, mentre discute con i suoi amici le notizie sulle condizioni di salute sempre più precarie di Fidel Castro: "Qui  -  dice sconsolata  -  non cambia mai veramente niente".

martedì 3 febbraio 2015

Cuba, rispunta Fidel Castro Ecco le prime foto da agosto

http://www.lastampa.it/2015/02/03/multimedia/esteri/le-prime-immagini-di-fidel-castro-dopo-mesi-di-buio-CkHCWjQCXJ785LRivzuTzN/pagina.html




Le prime foto di Fidel Castro da cinque mesi a questa parte sono apparse oggi sul sito web Cubadebate. Le immagini, una decina, ritraggono il «lider maximo», 88 anni, seduto in conversazione con il capo della principale organizzazione studentesca Randy Perdomo il quale ha poi spiegato che l’incontro è avvenuto il 23 gennaio, in occasione del progetto della Federazione degli Studenti Universitari per celebrare il 70esimo anniversario dell’ingresso di Fidel Castro all’Università dell’Avana. Le immagini sono le prime di Castro dopo quelle apparse in agosto, e che lo mostravano a colloquio con il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Sono state pubblicate dai quotidiani Granma e Juventud Rebelde, oltre che dal sito web e mostrano il «lider maximo» nella sua residenza. L’ex presidente appare rilassato, sereno, sorridente e con una giacca sportiva azzurra, pantaloni dello stesso colore e una camicia a quadri. In molte fotografie si vede anche la moglie, Dalia Soto del Valle. Le immagini arrivano dopo settimane di febbrili congetture sulle condizioni di salute del padre della rivoluzione cubana, da tempo scomparso dalla scena pubblica. L’ultima volta che Fidel Castro è stato visto in pubblico è stato l’8 gennaio del 2014, quando visitò una galleria d’arte nei pressi della sua abitazione.

lunedì 2 febbraio 2015

"Paga con American Express?". Il capitalismo Usa sbarca a Cuba

La carta di credito che più rappresenta il sogno americano opererà anche all'Avana. E Fidel torna a farsi sentire. Per dire che stima Obama




Manila Alfano - Gio, 29/01/2015 - 08:28
Era lo spauracchio di qualsiasi dipendente, cassiere, direttore. A New York come a Vienna, a Buenos Aires come a Roma. Bastava la parola per mettere in agitazione un ufficio intero: Cuba.


Auto d'epoca nelle strade di Cuba
Divieto tassativo di trattare con i cubani e con qualsiasi cosa avesse a che fare con loro: vendere traveller cheque ai turisti diretti sull'isola, emettere biglietti anche solo con scalo all'Avana. Entrare in una filiale American Express era come entrare negli Stati Uniti e il governo era sempre stato categorico su questo genere di cose: sull'embargo nessuna leggerezza. Ogni svista era punita con sanzioni interne pesanti. Oggi invece il presente si riconcilia con il passato, e cala il sipario sull'isolamento da anni '60. L'american Express sbarca a Cuba. «Non posso ancora dire quando la nostra carta arriverà all'Avana, ma stiamo aspettando solo l'autorizzazione del Dipartimento del Tesoro americano», ha detto Marina H. Norville portavoce della società.

Il simbolo per eccellenza dell'America, del capitalismo, la carta di credito più chic e più famosa del mondo, quotata a Wall Street, la più antica, la più prestigiosa, si fa largo tra le strade polverose dell'Avana, dove viaggiano a rilento le vecchie cadillac blu. La carta con il centurione che è più uno status che un mezzo di pagamento entrerà negli hotel, nei negozi di lusso che arriveranno insieme ai campi da golf. È questo il vero segno della fine. Dell'addio concreto al castrismo, fallimento di un'ideologia, o epilogo naturale voluto dalla storia. Il fratello Raùl al posto di Fidel, il nuovo per il vecchio, il capitalismo spalancato alla vita tranquilla e lenta dell'Avana. Fidel isolato e malatissimo, ha scritto una lettera sul disgelo per dire che lui dell'America continua a non fidarsi, ma che lascia fare perchè come lui stesso ammette è dal 2008 che non ha più potere. Raul fa da sè e Alina, figlia ribelle del lider maximo fuggita negli anni Novanta sarebbe tornata sull'isola, segno altrettanto definitivo che davvero qualcosa è cambiato. «Non ho fiducia nella politica degli Stati Uniti, né ho scambiato una sola parola con loro, ma questo non significa un rifiuto nei confronti di una soluzione pacifica dei conflitti o dei rischi di guerra» scrive Fidel in una lettera alla Federazione Studentesca Universitaria. Ormai il suo silenzio dopo la clamorosa svolta durava dad troppo tempo. Rimbalzavano le voci maligne che lo volevano addirittura morto. Neppure un incontro con i «Cuban Five» le famose spie cubane rilasciate dagli Stati Uniti che erano stati la sua ultima grande battagllia antiamericana. C'è chi dice che sia molto arrabbiato con Raul, il fratello che ha disobbedito. Che ha virato verso il futuro togliendo l'anima a Cuba.

C'è tensione sull'isola che combatteva l'impero e Raul, forse condizionato dalla lettera del lider maximo, a sorpresa ha irrigidito le posizione, chiarendo che Cuba non intende fare alcuna concessione politica. Anzi. Il presidente cubano ha sottolineato come con la sua offerta di normalizzare i rapporti Obama «ha ammesso che gli Usa hanno sbagliato la loro politica contro Cuba» e questo è già di per se «un trionfo» per il popolo cubano. Frei Betto, uno dei principali esponenti della Teologia della liberazione brasiliana, e uno dei pochissimi che l'altro ieri ha incontrato Fidel ha raccontato che «Sta bene, è lucidissimo e entusiasta di Obama». «Fidel ha un'alta considerazione del presidente Obama e valuta positivamente il suo operato. Ma allo stesso tempo ritiene che il processo di riavvicinamento sarà molto lungo e che gli Stati Uniti devono assumere iniziative concrete, come porre fine all'embargo e togliere Cuba dalla lista nera dei Paesi terroristi». Si torna al punto. La svolta non è tale se non si toglie «el bloqueo».


Oggi questo muro d'acqua viene lambito da una carta di credito che degli Stati Uniti ne hanno fatto un onorato simbolo. L'American Express non è una carta di credito qualsiasi; più di altre rappresenta il sogno americano. Lo diceva anche la pubblicità: «My Life. My Card», per lei ci hanno messo la faccia Martin Scorsese, Robert De Niro, Kate Winslet, Tiger Woods. Quella carta con il centurione è l'ultimo sfregio ai castristi, a quelli che al capitalismo guardavano come una malattia da tenere lontana dal popolo. Oggi quella stessa gente dice di essere contenta, che quell'intesa con Obama la brama. Obama avava già avvertito. La fine dell'embargo sarà un processo lungo, in accordo tra la Casa Bianca e il Congresso. Sono tutti al lavoro.