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mercoledì 29 maggio 2013

LA NUOVA CLASSE CUBANA.


28 maggio 2013
traduzione/adattamento e riduzione a cura di Yordan Fuentes De Arnaiz della redazione di Nuovacuba

Pedro Corzo. Giornalista di Radio Marti



Cuba in assenza del potere assoluto di Fidel Castro è governata come una società finanziaria. C’è stato un passaggio da una dittatura carismatica a una burocratica e quelli che la dirigono, oltre ad avere potere, sono anche molto interessati alle fortune che dal comando possono derivare.
Quest’ultimo aspetto è importante per cercare di capire che gli eventuali cambiamenti nell’isola, saranno limitati dai danni che si possano causare ai privilegi della classe dominante.
La gerontocrazia cubana, in particolare, quella che ha disceso la Sierra Maestra, assieme ai burocrati, vecchi e nuovi, si sono lasciati alle spalle i tempi in cui simulavano di vivere in austerità, mentre il popolo è stato sepolto nella miseria.
I leader castristi considerano i pericoli che hanno corso e gli sforzi fatti per controllare il paese per oltre cinque decenni, mentre si coinvolgevano nelle ambizioni imperiali del Comandante in capo, debbano essere ricompensati. Così hanno deciso, di godersi i vantaggi materiali che derivano dal potere.
La nuova classe cubana, così come l’ha descritta lo jugoslavo Milovan Djila in riferimento a quello che è successo nel suo paese, in ultima analisi, è servita a sostituire le classi dominanti, ma non possiede la capacità di creare ricchezza.
La nomenclatura che ha imposto o che si è incorporata al totalitarismo, gode attualmente una vita comoda, case, automobili e in modo particolare la possibilità di viaggiare all’estero. Inoltre è interessata  a che propri figli e nipoti possano proseguire gli studi superiori, o almeno godere di ciò che hanno costruito imprigionando, uccidendo, e violando i più elementari diritti dei cittadini che non hanno aderito al pensiero e all’autorità del nuovo ordine che è stato imposto nell’isola nel gennaio del 1959.
Molti dei figli e nipoti di questi generali e medici che vivono all’estero sfruttano i beni acquisiti dai loro parenti attraverso l’obbedienza alla dittatura. Altri studiano in università di paesi capitalisti o semplicemente viaggiano senza alcun tipo di restrizioni.
Ci sono quelli che lavorano in società estere con sede in tutta l’isola. Quelli che possiedo buoni stipendi, migliori relazioni e un futuro personale indipendente dalla politica.
Ci sono quelli che hanno creato un proprio business imprenditoriale, il che pone la questione di dove hanno preso le risorse in modo da avere indipendenza economica, non c’è dubbio che può essere stata costruita sul talento e la fatica, o magari perché una mano ha inviato loro i dollari necessari per far partire il progetto che promuovono.
Naturalmente ci sono figli e nipoti di dirigenti cubani che hanno affrontato le difficoltà come i figli di un comune cittadino, perché non possono contare della generosità dei loro genitori o parenti, poiché hanno avuto il coraggio di condannare un regime di oppressione.
La Corporation Governo di Cuba S.r.l. è guidata da Raul Castro, e i suoi azionisti sono generali, dirigenti di partito e medici, tutti molto gelosi delle loro prerogative. In tal modo sono pronti a prevenire eventuali rettifiche che possano togliere equilibrio alla rete che garantisce loro il potere, la ricchezza e l’impunità.
È ragionevole supporre che, mentre Raul Castro esteriorizza la più alta autorità, non potrà mai governare nello stile del fratello, e dovrà conciliare propri interessi e opinioni con il resto del suo direttivo, il quale per logica politica non favorirà un cambiamento radicale che potrà condizionare negativamente i privilegi di cui gode.
Nonostante l’importanza e l’influenza di ogni membro della trama principale, non si può ignorare che Raul ha di gran lunga la chiave del governo.
In assenza di suo fratello è l’unico in grado di tenere la casa in ordine e quindi presumibilmente i suoi associati, più di ogni altro settore della società, lavoreranno per un processo di sistemazione lento e senza traumi che permetta l’emergere di nuovi leader coinvolti abbastanza con il passato. Non per avviare un processo di cambiamento che di cui si può conoscere l’inizio ma non la fine.
Nella memoria collettiva della nomenclatura castrista è presente il processo che ha portato all’estinzione dell’Unione Sovietica. In tal modo essa non è disposta a consentire l’affiorare di contraddizioni interne e conflitti tra poteri che mettano a rischio le loro sicurezze.

Tutti sono consapevoli del fatto che il modello ideologico e politico sul quale dicevano di governare è fallito, ma ugualmente hanno la piena consapevolezza che per far sopravvivere il regime è ancora necessario che un individuo, un solo individuo, come nell’epoca di Fidel, detenga il vero potere.

giovedì 23 maggio 2013

Investimenti USA a Cuba






Investitore USA: – Vero che se parlo bene di voi mi lasciate libero di aprire la mia attività a Cuba?

 Fidel: – Chiaro sciocchino. Non è vero Raul?

 Raul: – Non c’è neppure bisogno di dirlo.

Investitore USA: – Canticchia un motivetto allegro (Cantando sotto la pioggia)

Cubano: – Chi era il signore?

 Raul: – Nessuno. Vai nella tua stanza!

Diffidenza


18 maggio 2013
di Yordan Fuentes De Arnaiz della redazione di Nuovacuba

"L’errore sta tutto nel non fatto,
sta nella diffidenza che tentenna."
Ezra Pound. Canti Pisani

Diffidenza



La nostra amica O era per noi la infiltrata. Non ricordo nemmeno come l’avevamo conosciuta. Il nostro primo incontro è coperto dalla nebbia della dimenticanza. So solo che, a un certo punto della nostra storia lei era lì, tra di noi come una piccola pietra nell’impasto di un dolce. Lei era troppo scomoda e non del tutto amalgamata. Eravamo un gruppetto di ragazzi universitari che si trovava a discutere e a studiare assieme. Due cose strane in quegli anni in cui ormai prevaleva il forte individualismo del “si salvi chi può”. Da un certo punto di vista, se ci penso, siamo stati graziati. Ci vedevamo molto spesso e andavamo assieme alla Biblioteca Nazionale, un viaggio fatto tutto rigorosamente a piedi. Fortunatamente da casa nostra non era molto lontano e il sabato mattina sul presto ci catapultavamo in biblioteca per sfuggire al caldo. Il tutto poteva funzionare in questo modo, prendevamo un tema d’interesse: “postmodernismo e realismo magico”, “i poeti maledetti francesi” e ci buttavamo di capofitto a studiare. Ognuno si occupava di un argomento e dopo la giornata di studio era messo in comune. Avevamo una sconfinata curiosità. Gli indirizzi di studio erano diversi ma ci accomunava quella fame di sapere. Eravamo famelici e tra quelle mura si dovevano nascondere mille tesori che la censura e la scarsità di risorse per lo studio non ci facevano trovare facilmente. Era proprio questa nostra eccentricità poco tropicale a renderci attraenti. Da una parte eravamo affettivamente e intellettualmente molto legati e dall’altra eravamo spalancati verso l’esterno. Sembrava quasi che l’intero universo potesse stare dentro la nostra amicizia. Ogni volta che scoprivamo qualcosa di nuovo, tornavamo bambini che dicevano al mondo: “Guarda questo, che bello!” ma con O non ci era successo così.

O era comparsa… materializzata dal niente. Lei era parecchio più grande, un po’ bipolare e schizzata. D’altronde eravamo nel bel mezzo del Periodo Speciale e tutti eravamo leggermente impazziti. Chiunque nel mondo occidentale, con meno di quattro ore di elettricità giornaliera e nell’ipotesi migliore un pasto costituito da un pugno di riso bollito e una banana, finirebbe nel manicomio. Noi no, eravamo già abituati alle ristrettezze da anni, eravamo soltanto magri e schizzati.  Per O, tuttavia, il suo peccato originale era la sua storia, il suo lavoro, la sua famiglia e non quell’aria da femme fatale e i suoi scatti isterici. Non la sigaretta perenne tra le dita e quella criniera da leonessa da strapazzo. O lavorava in una “Corporación” e abitava dai suoi in un appartamentino carino nel Vedado. Aveva vissuto da ragazza per un periodo nell’ex-URSS e parlava alla perfezione il russo. I suoi genitori già pensionati avevano avuto degli incarichi governativi non meglio specificati. La colpa più ovvia che la incriminava ci è pervenuta dalle sue labbra, quando ci ha detto in modo innocente: – vi ricordate la lettera famosa* in cui il Che saluta Fidel dicendo “mi ricordo in quest’ora di molte cose, di quando ti ho conosciuto in casa di Maria Antonia, di quando mi hai proposto di venire…”, beh quella Maria Antonia che ha favorito l’incontro in Messico era mia zia. Quella era stata per noi la sua confessione e allo stesso tempo la sua condanna.

O era mirabolante a tratti e dire certe cose era il suo modo di rendersi interessante. Magari vaneggiare era la via che aveva trovato per sfuggire alla solitudine, che le restava attaccata con la stessa perseveranza di una cozza alle rocce. Noi invece, con la medesima insistenza durevole eravamo stati allevati alla diffidenza. Eravamo cresciuti indossando sin da subito la maschera nell’ambiente pubblico. Sussisteva dunque questo fenomeno allargato nella popolazione, una frattura sempre più larga tra quello che si pensa realmente e quello che poi si faceva e dichiarava nell’ambiente sociale. Là dove per forza di cose dovevi essere allineato, omologato e di un irreprensibile grigiore. La delazione era una realtà tangibile e più di uno era stato espulso dall’università per aver dimostrato una diversità di vedute politiche. Noi invece in quel caos disumano avevamo trovato un rarissimo spazio di libertà. La curiosità di O e la sua simpatia inspiegabile ci destavano il più intenso sospetto. Per noi dunque non era mai stata respinta del tutto, ma mai accolta. L’ambiguità di quel rapporto era dovuta alla convinzione impiantata nell’ipotalamo: lei era l’infiltrata, era la spia, l’inviata. Noi non avevamo niente da nascondere, ma il sentimento di conservazione era più forte dell’essere ragionevole. Cosa ci faceva poi lì, tra di noi lei che era così diversa, che c’era in fondo così estranea?

Il regime ci aveva buttati nella solitudine. Con questo presupposto ora capisco il suo interesse. Scoprire un gruppo di amici che si trovavano regolarmente per fare assieme qualcosa di utile, in modo spontaneo, senza un evidente tornaconto e per la passione del bello era (immagino) per gli occhi di chiunque il più desiderabile spettacolo.  Noi, tuttavia con O eravamo doppiamente chiusi. Chiusi nel preconcetto che non ci lasciava conoscerla e chiusi per la paura che quello che amavamo ci fosse strappato.

Chi era O? Beh, non ho mai saputo rispondere.

  • Nota come la lettera di addio di Ernesto Guevara a Fidel Castro scritta all’Habana il 1° aprile 1965.

martedì 14 maggio 2013

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Consigli FAO



Ora la FAO consiglia di mangirare vermiper mitigare la fame.

Ai vubani da molto tempo i "gusanos" (esiliati) ci stanno mitigando la fame.

venerdì 10 maggio 2013

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Yoani Sanchez in Italia. Una scusa per parlare di Cuba

 

Questo post per rendere onore a  chi non la pensa esattamente come me, le fonti che si citano nell'articolo e la deriva che ve ne viene sono indubbiamente fonti filo governative cubane anche se l'analisi comparata con il nostro paese è reale : Gianni Minà con la sua Latinoamerica, Eudardo Galeano, ed il famoso e discusso giornalista Salim Lamrani autore di una intervista a dir poco surreale fatta all'avana Yoani Sancez.

Pubblicato il  · in Osservatorio America Latina ·
di Simone Scaffidi Lallaro
Ce l’ha fatta. È riuscita a uscire dal suo paese. Raul Castro ha aperto le frontiere e finalmente se n’è volata via. In meno di tre mesi è già atterrata in ben sette paesi tra Europa e America Latina: sono caduti uno dopo l’altro il Brasile, la Repubblica Ceca, la Svizzera, gli Stati Uniti, il Perù e la Spagna, ora è toccata all’Italia. Agli occhi del mondo occidentale Yoani Sanchez rappresenta indiscutibilmente l’eroina democratica di Cuba. La ragazza dalla faccia pulita ma anche sbattuta e smagrita (forse proprio a causa delle condizioni di povertà che il suo paese le impone) che lotta quotidianamente contro un regime considerato da lei e dalla maggioranza dei paesi occidentali una dittatura. La blogger in pochi anni ha conquistato l’etere grazie alla potenza di internet e a uno dei trend topic più celebrati dal mondo capitalista dominato dai mercati: se lavori, se lotti con tutte le tue forze per una giusta causa – o nel suo caso per il bene del tuo popolo –, beh.. allora puoi farti da solo, emergere dall’oblio e occupare un posto di prestigio nel ranking dei media mondiali. Lei, Yoani, la cubana dalla faccia pulita e dal dito inverosimilmente svelto, ce l’ha fatta.
Sembra che in Italia crediamo ancora a queste storie o per lo meno è quello che traspare leggendo le maggiori testate nazionali. L’occasione per rinnovare la fiducia nel sogno americano del self-made man ma al passo coi tempi (non a caso Yoani è una self-made-woman) è data dalla sua prima visita italiana correlata di partecipazione al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. Leonardo Mala non tarda a sfornarequesto articolo per La Repubblica, Anna Masera intavola questo pezzo per La Stampa e la redazione online del Corriere della Sera ci offre la sua opinione per dessert. Ingrediente del giorno è la contestazione rivolta a Yoani Sanchez da alcuni manifestanti poco prima del suo intervento al Festival. Le prime battute degli articoli sono sommarie, la parola filo-castristi rieccheggia minacciosa e non lascia scampo al lettore.
La realtà viene immediatamente semplificata e i suoi attori cristallizzati in buoni e cattivi, santi e mostri: da una parte Yoani (dalla faccia pulita) e la democrazia, dall’altra Castro (Fidel o Raul è indifferente) e la violazione dei diritti umani (assorbiti in toto dalla demonizzazione del partito unico cubano). 
Il risultato è netto, senza resti, contraddizioni o ripensamenti: se contesti o critichi Yoani sei automaticamente un nemico della democrazia e per di più vieni tacciato di «filo-castrismo» che tu lo voglia o meno. Il bianco e nero delle prese di posizioni senza sfumature giunge al culmine: Yoani «per il governo di Cuba è una mercenaria al soldo degli imperialisti americani» ma «per il mondo libero è il simbolo della lotta per i diritti umani»{{1}}. La barriera tra bene e male è eretta.
Mi chiedo dubbioso a quale mondo ci si stia riferendo. Mi domando poi perché quando si parla di diritti umani a Cuba si porti sempre ad esempio il carattere non-democratico del regime castrista e le limitazioni politiche che impone la presenza di un solo partito. Non vorrei essere frainteso, le critiche sono necessarie, ma per quale motivo si parla solamente di diritti umani negati e non di diritti umani garantiti? Forse perché non possiamo nemmeno immaginare e soprattutto tollerare che un paese povero e sottosviluppato possa darci lezioni di diritti umani. La convinzione diffusa che nulla a Cuba possa essere migliore rispetto al nostro mondo è una realtà più forte che mai. Ma se ci fermiamo un attimo ci accorgiamo che molti dei diritti che pensiamo essere scontati nel nostro paese – diritto alla casa, alla sanità e all’istruzione gratuita – sono in realtà privilegi di alcuni.
Il regime non-democratico cubano garantisce istruzione totalmente gratuita (compresa l’università) e assistenza sanitaria gratuita per tutta la vita ai cittadini del proprio paese. Chi ha viaggiato in America Latina sa che di bambini le strade sono piene e non giocano a pallone, ma vengono sfruttati per lavori di ogni genere o abbandonati al loro destino di senza fissa dimora. A Cuba gli stessi bambini che altrove vagano per le strade sono tutti a scuola e posseggono una casa, come chiunque altro.
La percentuale di donne e uomini che vivono nelle strade a Cuba è vertiginosamente inferiore a quella di qualsiasi città europea ed il confronto con altre realtà latinoamericane risulta imbarazzante. A Cuba nessuno muore di fame e la carne di porco o pollo la mangiano tutti i giorni (checché ne dica Yoani: «non riuscivo a vivere altrove. Ogni volta che mangiavo un piatto di carne pensavo alle privazioni dei miei concittadini, alla loro difficoltà di vivere che è la mia di ogni giorno. Io voglio essere utile al mio Paese e alla mia gente»{{2}}, il che – se si analizzano le motivazioni profonde che innalzano il consumo di carne e uova a Cuba – non è una cosa positiva in sé perché porta a una dieta squilibrata imposta dalle scarse risorse produttive dell’isola e soprattutto dal criminale embargo economico che viola e ignora qualsiasi supposto diritto umano.
Mi chiedo poi se Yoani, durante il suo recente viaggio in Brasile, ha vissuto le strade di Salvador de Bahia al calar della notte. Se ha visto l’esercito di fantasmi che vagano e dormono sull’asfalto, se ha provato sulla sua pelle l’insicurezza del cammino, la necessità di prendere precauzioni se si decide di condividere quel pezzo di cielo nero con loro. Un altro diritto tanto caro alle posizioni destrorse italiane e che a Cuba è ampiamente garantito è il diritto alla sicurezza. Trovarsi in una situazione di paura a L’Avana o Santiago de Cuba è davvero difficile mentre in una città come Rio de Janeiro a qualsiasi ora del giorno non è consentito distrarsi, né imboccare una strada secondaria poco illuminata, né passeggiare liberamente nel quartiere Centro dopo le sette di sera.
L’esercito di fantasmi della storia è lì ad aspettarti più incazzato e disperato che mai, pronto a riprendersi quel briciolo di giustizia sociale che quel mondo gli ha sempre negato e gli continua a negare. Per queste ragioni molti pensano che la società meno ingiusta di tutta l’America Latina sia quella cubana e per la stessa ragione molti guardano con grande sospetto all’eccitazione collettiva che segue la crescita esponenziale del PIL brasiliano. Tra questi, la maggioranza di coloro che mettono radicalmente in discussione un modello di sviluppo economico infinito e insostenibile, che è quello dominante.
Ma torniamo un momento in Italia. Sanità: è di pochi giorni fa la notizia che gli italiani a causa della crisi hanno ridotto drasticamente visite specialistiche e controlli medici. Molti non riescono più neppure a pagare il ticket per garantirsi le cure. Letteralmente esclusi dal sistema sanitario italiano sono costretti a rivolgersi a organizzazioni no-profit del calibro di Emergency. Istruzione: «Quest’anno a Bologna più di 300 bambini sono rimasti esclusi dalla scuola pubblica, che è un diritto costituzionale, per mancanza di posti e risorse. Saranno costretti a frequentare una scuola dell’infanzia privata, a pagarne la retta e a sottoscrivere un progetto educativo che non condividono (nel 99% dei casi confessionale). E l’anno prossimo quanti saranno gli esclusi dalla scuola pubblica?»{{3}} Ogni anno il Comune di Bologna versa un milione di euro nelle casse delle scuole d’infanzia private, denaro pubblico per garantire l’istruzione ai figli dei ricchi. Dove sono i diritti?
Quando si alza il tiro e la soglia di complessità si eleva il concetto semplificato di diritti umani assume forme diverse e meno retoriche mettendo radicalmente in crisi i confini del mondo libero di cui abbiamo la convinzione e l’orgoglio di far parte. Inutile ripararsi dietro sterili giustificazioni e nascondersi dietro la Crisi: «noi siamo i ricchi, loro i poveri. Noi chiudiamo gli asili, loro li costruiscono, noi li facciamo pagare, loro no, come cazzo è possibile?!»{{4}}. Noi ci vantiamo della nostra democrazia, loro hanno il partito unico. Eppure ci riescono lo stesso. Da noi la Crisi è cominciata nel 2008, da loro nel 1959. Dovrebbe essere più facile per noi. Perché non è così?
Fa sorridere poi l’infelice scelta del giornalista de La Repubblica che riporta le parole di Yoani Sanchez in riferimento a Raul Castro: «il suo è un peccato originale. Raul non è stato eletto, ha ereditato il potere per questioni di sangue, qualcosa di inimmaginabile nel terzo millennio»{{5}}. Esattamente, qualcosa di inimmaginabile, tanto meno in un mondo libero e democratico. Eppure. Eppure succede anche qui. Un anno e mezzo fa Mario Monti è diventato capo del governo italiano senza che nessuno, o meglio soltanto uno, lo avesse eletto. La successione non è stata democratica e si può in buona misura parlare anche qui di successione di sangue: sangue moderato e con globuli compiacenti Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale s’intende. Pochi giorni fa Enrico Letta è stato nominato nuovo capo del governo italiano, ancora una volta da quello stesso uno che aveva eletto Mario Monti, ancora senza libere elezioni, ancora non democraticamente.
I loro problemi sono i nostri. Possiamo fare finta di niente e non ammetterlo ma le contraddizioni di Cuba – se analizzate, ripensate e criticate – non fanno che radicalizzare le contraddizioni del nostro mondo. Quel mondo che ci ostiniamo a definire giusto, libero e democratico. Lo stesso che sta crollando pezzo dopo pezzo sotto i colpi dei mercati e che continua a nutrirsi di ingiustizia sociale. Quel mondo che Yoani Sanchez loscamente ma con la faccia pulita difende.
Davvero pensiamo che questo sia il meno peggiore dei mondi possibili? Abbiamo ancora il coraggio di crederlo? Siamo davvero così stolti?
Breve guida alla conoscenza di Yoani Sanchez
Chi c’è dietro Yoani Sanchez? (in spagnolo) (in italiano) di Salim Lamrani
Conversazione con la blogger cubana Yoani Sanchez (I parte) (II parte) di Salim Lamrani
E a proposito di diritti umani:
[[3]] Comitato Art. 33, Il referendum
[[4]] Wu Ming 4, L’anomalia Cuba, luglio 2004











giovedì 9 maggio 2013




MIO PADRE E BERLINO

Yoani Sancez



Dalla finestra odo il rumore di un treno che passa. A Berlino si sente sempre fischiare un treno da qualche parte. Mi affaccio e scorgo una realtà ben diversa da quella vista da mio padre in quel 1984 quando giunse per la prima volta in questa città. Macchinista di treni, si era guadagnato -grazie a ore volontarie e molto lavoro – un viaggio verso il futuro. Sì, perché a quel tempo la RDT rappresentava l’orizzonte che molti cubani un giorno o l’altro speravano di raggiungere. Per questo motivo a quel conducente di locomotive con le mani sporche di grasso, dettero anche un buono perché potesse comprare qualche vestito prima di andare in Europa. Gli toccò un completo giacca e pantaloni, oltre a una valigia enorme dentro la quale io e mia sorella giocavamo a nasconderci. Arrivò in Germania Est che era pieno inverno e restò soltanto due settimane per una visita guidata, il cui obiettivo principale era quello di dimostrare ai fortunati viaggiatori i vantaggi del modello socialista. Mio padre tornò a Cuba convinto.

In aeroporto, di ritorno, mostrava un sorriso luminoso e teneva un sacchetto in mano. Dentro c’erano un paio di scarpe per ognuna delle sue figlie, forse la cosa migliore ottenuta in quel viaggio. Inoltre c’erano i ricordi. Per anni ci ha raccontato il suo soggiorno nella RDT. Ogni volta aggiungeva nuovi dettagli, fino a trasformare quel viaggio quasi in una leggenda familiare da ascoltare ogni volta che ci riunivamo per festeggiare qualche ricorrenza. Al giorno d’oggi lo stupore di quel macchinista si riassume nel fatto che a Berlino aveva potuto sedersi in una caffetteria e chiedere qualcosa da bere senza fare una lunga coda, aveva comprato alcuni regali alle sue piccole senza mostrare una tessera del razionamento ed era riuscito a farsi una doccia calda nell’hotel dove alloggiava. Si era sorpreso per ogni piccola cosa.

Adesso sono io che mi trovo a Berlino. E sto pensando che mio padre non riconoscerebbe questa città, non ci ritroverebbe quel luogo visitato in un anno così orwelliano come indicato da quella data. Di quel muro che la divida in due resta soltanto un pezzo da museo dipinto da alcuni artisti; l’hotel dove alloggiò probabilmente è stato demolito e il nome della donna che fungeva da traduttrice e che lo sorvegliava – perché non scappasse a occidente – non  compare più sulla guida telefonica. Non esiste più neppure la valigia, le scarpe durarono solo un anno scolastico e le foto di colore arancione scattate in AlexanderPlatz sono state maneggiate così tante volte da non essere quasi più visibili. Tuttavia, sono sicura che quando tornerò a Cuba, mio padre cercherà di spiegarmi Berlino, dicendomi come entrò in una panetteria e come riuscì a mangiarsi una pasticcino senza presentare la tessera del razionamento. Sorriderò e gli darò ragione. Non è giusto distruggere dei sogni così a lungo accarezzati.

Traduzione di Gordiano Lupi

Il suo passaporto per favore





Uno dei conque eroi è a cuba



Vecchio, già uno dei cinque eroi stà qui a Cuba.
- Bravo! La nostra lotta ha dato i suoi primi frutti ! -
Io penso di no, la csoa è  stata ceh ha rinunciato alla cittadinanza ( americana) 
-Bene! Però lo abbiamo strappato all'impero ! -
Dicono che l0impero già lo aveva lasciato venire due volte per motivi di famiglia -
Però il nostro comendante lo aveva pronosticato -
Mi sembra di no
- Questa (reo lussion) risoluzione è tanto grande ceh mi confonde -



martedì 7 maggio 2013


GORDIANO LUPI. TRE GIORNI CON YOANI


( piccola premessa personale.
   Sinceramente non pensavo che Gordiano Lupi non avesse mai conosciuto Yoani Sancez de visu, tenuto conto della sua vasta opera di traduzione e di varie pubblicazioni da lui gestite per conto di Yoani.
Per esempio a me è stato facilissimo e semplice incontrarla, una telefonata a casa sua ed un appuntamento a casa nostra, un saluto cordiale, un bicchiere di aranciata ed un arrivederci.
La polizia politica devo dire è arrivata prima di lei ed è rimasta nei due giorni successivi a presidiare lo straniero che aveva contatti con l’estremista. Ma oltre a quello non ho avuto ulteriori grane, anche perché  non frequento questi ragazzi pur conoscendo per esempio Orlando Luis Pardo, sempre in modo semplice  e parecchio amichevole.
So da tanto tempo il problema di Gordiano legato alla sua professione e alla divulgazione e publicizzazione di personaggi come Yoani, ed è certo una durissima punizione non poter rientrare per adesso a Cuba. Chissà se il tempo gli darà ragione e potrà andare lui ad incontrare Yoani nella usa dimora da buon amico. )







3 maggio 2013
Yoani Sánchez sbarca in Italia. Finalmente. Dopo tanta attesa, la nostra piccola Godot tropicale arriva all’aeroporto di Fiumicino per cominciare una tre giorni italiana che parte in salita con un ritardo del volo Milano – Roma. Yoani proviene da La Coruña, ha partecipato a un evento sui diritti umani alla Isla del Pensamiento, luogo simbolico dove Franco rinchiudeva i prigionieri politici.

Non mi sento un cronista, d’altra parte è giusto così, perché non lo sono, nessuno mi ha insegnato a dare notizie in maniera impersonale. L’emozione di vedere Yoani dal vero è forte, dopo anni di condivisione telematica e di traduzioni en la distancia. Pierantonio Micciarelli, ottimo regista e grande amico del popolo cubano, autore del film Soy la otra Cuba, sembra un bambino in attesa del grande evento. Proprio come me. Proprio come mia moglie. Soltanto mia figlia Laura non comprende che stiamo vivendo la storia, forse con la esse minuscola, ma pur sempre storia. Yoani è come l’avevamo immaginata: solare, sorridente, lunghi capelli sciolti, abito primaverile, nonostante il clima fresco, persino piovigginoso. Abbracci, baci, strette di mano, non servono troppe parole per esprimere condivisione. Sentimenti reciproci. Sentimenti importanti. Cuba e il suo destino ci uniscono, siamo lontani anni luce da chi esalta Chávez e Maduro, Abel Prieto e Raúl Castro.

Il programma italiano di Yoani è intenso. Si comincia da Perugia. Il Festival del giornalismo sposta alle nove di sera la sua conferenza – intervista con Mario Calabresi, ma non può evitare la contestazione di un gruppo di deficienti, perché tali sono, non trovo parole migliori per definire i protagonisti di una gazzarra indegna. Lei non si scompone: “Un paese dove si può gridare che non esiste libertà di espressione è un paese dove esiste libertà di espressione”, afferma. “Vorrei che certe contestazioni potessero avere luogo anche a Cuba, mentre da noi non è concesso neppure aprire un giornale indipendente o partecipare a un dibattito televisivo”, continua. E finisce alla grande, trionfatrice del Festival del giornalismo, vedette capace di riempire la Sala de’ Notari fino all’inverosimile e di conquistare il cuore dei giovani. Yoani parla di social network, twitter, sms lanciati come grido di libertà, utopie imposte, voglia di cambiamento. “Raúl Castro è sulla strada giusta, ma le riforme devono essere più rapide e incisive. Non possiamo attendere oltre”, conclude. 

I cubani partecipano all’evento, questa è una bella novità, attendono che la blogger esca dalla sala, si fanno firmare le copie del mio libro, cosa che accadrà sempre. Sì, perché “Yoani Sánchez. In attesa della primavera” (Anordest Edizioni) è un mio libro che raccoglie vita e pensieri della blogger, ma nessuno mi chiede di autografarlo. Tutti vogliono lei. Come è giusto che sia. Non sono per niente invidioso. Collaboro al progetto di Yoani da quando è nato e continuerò a farlo.




A cena Yoani ci sorprende. Beve vino rosso (in buona quantità), per riscaldarsi, dice, ma solo quando è in Europa. Termina il pranzo bevendo tè, insolito per un cubano. Mi ricorda Cabrera Infante: “Il caffè è la bevanda dei selvaggi. Il tè dei popoli civilizzati”. Grande Cabrera Infante, un avanero diventato londinese. Yoani, invece, è cittadina del mondo. Ma Cuba le manca, soprattutto la famiglia lontana, il marito Reinaldo, il figlio Teo che cita in continuazione. “Che cubana strana! Vero? Beve vino rosso e tè…”, sorride.

Il giorno dopo facciamo un viaggio interminabile sulla mia vecchia Ford Escort. Ho pure la frizione un po’ scassata. Speriamo bene. Yoani prova a riposarsi, dormicchia con la benda nera sugli occhi, racconta di Cuba. Perugia – Torino sono quasi sei ore di auto, ma passano in fretta. Nella città della Mole, il sindaco Fassino riceve la blogger con tutti gli onori, quasi come un capo di Stato, parlando uno spagnolo forbito ed elegante. Un tipo in gamba Fassino. Per me guadagna parecchi punti. Prendiamo il caffè con la giunta comunale, mentre il sindaco racconta che trent’anni prima è stato a Cuba da Fidel Castro. Yoani visita La Stampa, il suo giornale italiano. Anna Masera l’accompagna in redazione e realizza un’intervista per la giornata dei diritti umani, anche se il direttore è assente e per le stanze del periodico aleggia la triste notizia del rapimento di Domenico Quirico. Serata di gala al Circolo dei Lettori. Si presenta ancora una volta il libro, Yoani firma copie su copie, riceve compatrioti, ha una buona parola per tutti. Non si risparmia. Qualche ora prima i giornalisti l’hanno massacrata d’interviste, ma lei non dà segni di stanchezza. Va persino a Linea Notte del TG3, saltando la cena, fa un figurone rispondendo a domande su Cuba senza esitare un istante, con precisione. Che forza. Che tempra…

Terzo giorno. È la volta di Monza. Visita al Cittadino, dopo un pranzo tipico a base di polenta, ossobuco, brasato e vino rosso, poco cubano, ma ugualmente gradito. Yoani mi lascia il compito ingrato di litigare con la stampa, non è colpa sua, deve riposare e terminare Signor Campidoglio, il post che ha iniziato nella mia auto, con il portatile in braccio. “Non ce la farei mai a fare la sua vita”, mi dico. “M’incazzo con L’Eco di Bergamo. Tu pensa dover subire un atto di ripudio”, penso. Rammento che poco prima, davanti a un bicchiere di vino rosso, Yoani ha detto una cosa importante: “La Rivoluzione Cubana è morta. Resta solo da stabilire quando. Reinaldo dice dal giorno in cui Fidel approvò l’invasione sovietica in Ungheria. Mia madre cita la fucilazione del generale Ochoa. Altri dicono che il colpo finale l’ha avuto con le fughe del Mariel. Mio padre indica la Primavera Nera del 2003, con gli arresti dei 75 dissidenti e la fucilazione di tre ragazzi dopo il sequestro di un rimorchiatore. Infine c’è chi la fa morire con la caduta del muro di Berlino e con l’inizio del Periodo Speciale. Una cosa è certa: la Rivoluzione è morta. Ha esaurito i suoi effetti propulsivi. È rimasto soltanto un regime dittatoriale”.

Mentre ripenso a quelle parole spiego ai giornalisti come ho conosciuto Yoani, cerco di trasmettere il mio entusiasmo per le cose che scrive, per uno stile letterario che è una sfida rendere in un buon italiano. Faccio la stessa cosa con il pubblico del Teatro Manzoni,  dove  la contestazione resta fuori, espressa con civiltà e rispetto delle altrui opinioni. Pure a Monza ci sono cubani, venuti a sostenere Yoani, ma non manca la figura dell’infiltrato che qualcuno ha spedito a gridare slogan sorpassati dalla storia. Yoani non si scompone, contrappone la logica dei diritti umani e della libertà, a parole urlate ed espressioni sopra le righe.

Sono le sette di sera quando ci saluta e parte alla volta di Ginevra per continuare il suo giro del mondo in ottanta giorni, lasciandoci tutti un po’ più soli, a meditare su parole e futuro. Il regista  Micciarelli completa l’operazione nostalgia, per noi che non possiamo rivedere Cuba, macchiati del peccato originale, amici di yankees e vendipatria che osano criticare la Rivoluzione. Le immagini languide, i piani sequenza sul lungomare dell’Avana e le note di vecchi boleri ci portano indietro negli anni. Eravamo più giovani e persino idealisti. Ci credevamo. Ma abbiamo strappato una tessera conservando il volto d’una ragazza. Addio Paradiso perduto. Voglio rivederti libero, prima che sia notte.


Gordiano Lupi, 3 maggio 2013

Comitato diritti umani





Tutti insieme no, per favore ! Passate di venti in venti .

venerdì 3 maggio 2013

UN WACTH : "Cuba ha commesso frodi massive a Ginevra"


Vado un momento all' ONU e torno subito..... compagni....

Cosi lo chiama il bagno.

Cuba,

quando il governo vede la notizia come un tradimento




YOANI SANCHEZ

Il fatto di avere una data per celebrare e rivendicare la libertà di stampa va benissimo, però bisogna sempre ricordare che ogni giorno dell’anno dobbiamo lottare per ottenere questo obiettivo. La situazione è molto complicata: non solo in Paesi come Cuba dove la libertà di espressione è seriamente compromessa, ma anche per i cittadini di altri Paesi che devono difendere le piccole porzioni di libertà informativa che hanno raggiunto. Credo che avvicinarsi a quelle nazioni dove la situazione è più difficile sia un modo per prendere coscienza e per tenere in debito conto i passi avanti fatti dalla libertà di espressione da parte dei Paesi dove ciò è avvenuto. 

La libertà d’informazione è importante perché solo un popolo informato, consapevole di ciò che gli accade intorno può trovare le soluzioni. Quando si indottrina una popolazione, la si circonda di silenzio e di censura, accade che tale popolazione smetta innanzitutto di credere a ciò che le raccontano, smetta di interessarsi alle questioni pubbliche e si trasformi in una popolazione apatica. Là dove vige un monopolio ideologico o economico sui mezzi di informazione il popolo è più facile da tenere sotto controllo.

La mia esperienza come giornalista e cittadina che vive in un Paese dove non esiste giornalismo che non sia governativo e ufficiale è molto difficile. Quando un governo vede l’informazione, la notizia, l’atto di narrare la realtà come un tradimento - il giornalista corre molti rischi. Nel caso di Cuba i rischi vanno dalla possibile incarcerazione, la sorveglianza, la diffamazione, all’impedire la libertà di movimento al giornalista. Quella che stiamo vivendo a Cuba noi giornalisti indipendenti è un’esperienza dura, ma è al contempo una grande palestra, una specie di università giornalistica «on the road». Io racconto quello che vedo da blogger, da «citizen journalist». Sono affamata e appassionata di informatica: nella mia vita la tecnologia è stata un trampolino verso la libertà. Quando mi contestano, rispondo che non si dovrebbe parlare di me. Leggete il mio blog e criticatelo se è falso. Questa è libertà. Noi siamo quello che vediamo e io vedo una realtà in evoluzione: il racconto non è complicità, così come l’informazione non è tradimento.

A Cuba è illegale avere un’antenna parabolica per la tv via satellite, ma a quelle che ci sono si collegano tante famiglie: la condivisione di qualsiasi cosa possa servire per la nostra sopravvivenza non solo fisica, ma anche intellettuale, per noi è la prassi. A Cuba non si può avere una connessione Internet a casa, salvo stranieri. Usiamo i social network come un Sos: sono un martello per abbattere il muro informativo, più difficile di quello di Berlino. Sono stati un’enorme protezione per me. A me piace soprattutto Twitter per come agevola la comunicazione essenziale e diretta.
Perché i cubani non si svegliano? Me lo chiedono in tanti. Perché c’è tanta paura: non solo paura dello stigma, ma di diventare una non persona. Io quando ho paura non è per me, ma per i miei cari. Se però mi lasciano parlare, non ho più paura.


CUBA E IL GIRO DEL MONDO DI YOANI SÁNCHEZ


MAURIZIO STEFANINI (LIMES) –

3 maggio 2013
“Il mio giro del mondo in 80 giorni”: così Yoani Sánchez ha definito il tour internazionale compiuto dopo che Cuba ha varato una nuova “legge migratoria” che le ha permesso di ottenere un passaporto e la garanzia di poter tornare in patria.

L’Italia, con le soste a Perugia, Torino, Milano e Monza, è stata una delle ultime tappe, prima della Svizzera, dove la blogger era emigrata prima di decidere di rimpatriare, e della Germania.

L’arrivo nella penisola è stato accompagnato dall’uscita di un libro scritto a quattro mani con il suo traduttore italiano Gordiano Lupi dal titolo “In attesa della primavera“, dove la Sanchez rifiuta perfino l’etichetta di dissidente.

“Questa parola non ha niente a che vedere con quello che sto facendo. Il problema è che a Cuba non ci sono alternative. Se non sei del tutto favorevole alle misure governative ed esprimi critiche al sistema vieni etichettato come controrivoluzionario. In realtà sono una ragazza come tante che un giorno ha deciso di intraprendere un esorcismo personale. Scrivo in un blog ciò che non posso dire nella vita di tutti i giorni e per questo ho definito il mio lavoro come un esercizio di codardia. Siamo sempre di più a usare la blogosfera per esprimere opinioni. Non ho nessuna intenzione di darmi alla politica e di fondare un partito. Non ne sarei capace”.

“Per evitare beatificazioni e future crocifissioni, chiarisco che Generación Y è un esercizio personale di codardia. In un paese dove tanti si sono presentati come eroi, che spariscono quando ci sarebbe davvero bisogno di loro, dichiararsi pauroso in anticipo è qualcosa di troppo sincero per essere accettato”.

Yoani si definisce “una formica che cerca di smuovere zollette di zucchero e grandi pezzi di terra per cercare di demolire dal basso un muro fatto di censura, controllo e vigilanza”.

Durante il suo viaggio la Sanchez è stata contestata ripetutamente da simpatizzanti del regime castrista. Dalla prima tappa in Brasile fino all’Italia. “Sì, tranne a Miami. Ma si è trattato di proteste da parte di piccolo gruppi, le quali alla fine hanno rafforzato la mia posizione proiettando su di me più interesse e consensi. In Brasile, addirittura, sono stata invitata davanti al Senato per ricevere le scuse a nome dell’intera nazione”.

Qual è il bilancio di questo viaggio? “Molto positivo. Temo che tornata a Cuba non mi facciano più uscire, ma per me è stato importante soprattutto aver incontrato tantissimi cubani. In tutti i paesi in cui sono stata ho trovato miei compatrioti che conservano le loro tradizioni, la loro cultura. È una vera e propria Cuba fuori da Cuba. Sia i cubani all’estero che quelli in patria stanno finalmente cambiando. Ed è questo loro cambiamento che potrebbe aiutare a cambiare il paese in futuro”.

Timori a parte, questa esperienza è stata possibile grazie alla nuova legge migratoria. Non sarebbe giusto riconoscere che con le riforme di Raúl Castro è in corso a Cuba un’evoluzione positiva? Oppure ritieni che questi provvedimenti siano fasulli? “Le riforme vanno nel senso giusto, ma sono lentissime. Perché producano effetti importanti dovrebbero essere velocizzate, altrimenti rischiano di essere solo delle briciole.

In realtà, Cuba sta cambiando a un ritmo più veloce delle riforme, ma non grazie al governo. Il paese sta cambiando perché i suoi cittadini stanno cambiando. Sono meno apatici, sempre più interessati e pronti a lottare. Cominciano a progettare e a chiedere diritti. Io spero nel cambiamento non tanto per quello che sta facendo il governo, ma per ciò che sta avvenendo alla base. E, come ho detto, anche i compatrioti all’estero si stanno svegliando, saranno la forza della Cuba del futuro.

Se si mettono assieme, i cubani all’estero e quelli sull’isola potranno fare qualcosa per cambiare”.

Maurizio Stefanini, giornalista professionista e saggista.

giovedì 2 maggio 2013

Il  capitolio restaurato


http://cubareale.webnode.it/



Riapertura del Capitolio

Hai visto?   l'Assemblea Nazionale la spostano in Campidolio.

SI,. è che vogliono conservarlo, non volgliono usarlo.




YOANI SÁNCHEZ. SIGNOR CAMPIDOGLIO

 Sito ponte con:  

http://cubareale.webnode.it/



2 maggio 2013
Il nuovo post di Yoani. Ne sono un po’ orgoglioso. L’ha scritto nella mia auto con il portatile…
Buona notte

Gordiano Lupi



Il Campidoglio dell’Avana (http://es.wikipedia.org/wiki/Capitolio_de_La_Habana) comincia a uscire dal suo lungo castigo. Come un bambino in punizione, ha atteso 54 anni prima di tornare a essere la sede del parlamento cubano. Ne ha viste di tutti i colori, è stato museo di scienze naturali con animali imbalsamati – pieni di tarme – e in uno dei suoi corridoi è stato aperto il primo Internet Point della capitale cubana. Mentre i turisti fotografavano l’imponente simbolo della Repubblica, migliaia di pipistrelli pendevano dai tetti altissimi e ben decorati. Sonnecchiavano a testa in giù durante il giorno, ma di notte svolazzavano e lasciavano escrementi su pareti e cornici. Si sono accumulati in quel posto per decenni, tra l’indifferenza degli impiegati e le risatine degli adolescenti che indicando i residui dicevano: “Guarda quanta merda!”. Questo è l’edificio che conosco sin da bambina, caduto in disgrazia, ma ancora imponente.

I visitatori restano sempre affascinati dalla storia del diamante che indica il punto zero della rete stradale nazionale, un racconto permeato di maledizione e cupidigia. Gli stessi viaggiatori guardano il colosso neoclassico e confermano ciò che tutti sappiamo, ma nessuno osa dire a voce alta: “Assomiglia moltissimo al Campidoglio di Washington (http://es.wikipedia.org/wiki/Capitolio_de_los_Estados_Unidos)”. È colpa anche di questa similitudine se il nostro insigne edificio ha sofferto un lungo anonimato politico. Ricorda troppo l’altro, ingombrante primo fratello di una costruzione simbolo del nemico. Ma visto che i simboli architettonici di una città non vengono decisi per decreto, la sua cupola ha continuato a rappresentare il volto avanero, insieme al Malecón (http://es.wikipedia.org/wiki/Malec%C3%B3n_habanero) e al Morro (http://es.wikipedia.org/wiki/Castillo_de_los_Tres_Reyes_Magos_del_Morro), imponente costruzione all’ingresso della baia. Per chi proviene dalla provincia, la foto davanti all’ampia scalinata di questo grande palazzo, è un passaggio obbligato. La cupola del Campidoglio fa bella mostra di sé in pitture, foto, oggetti d’artigianato, e in tutti quei souvenir che di solito si acquistano per poter dire: sono stato all’Avana. Insistevano a togliergli importanza, ma lui diventava sempre più protagonista. Veniva stigmatizzato, ma la sua bellezza decadente diventava sempre più affascinante. Pure per questi motivi nei decenni successivi alla sua costruzione – fino al giorno d’oggi – non esiste altro edificio cubano che possa definirsi più sfarzoso.

Adesso, l’Assemblea nazionale del Potere Popolare comincerà a riunirsi proprio dove una volta si radunava quel Congresso della Repubblica di Cuba, che gode di pessima fama nella storiografia ufficiale. Mi immagino i nostri parlamentari, seduti in emicicli composti di sedie decorate, circondati da finestroni di aspetto regale e riparati da tetti finemente decorati. Me li figuro intenti ad alzare le mani per approvare leggi all’unanimità o a maggioranza schiacciante. Silenziosi, docili, con idee politiche uniformi, desiderosi soltanto di non contrastare il vero potere. Davvero non so che cosa pensare. Potrebbe trattarsi di una nuova umiliazione – il castigo più elaborato – tenuto in serbo per il Campidoglio dell’Avana. Ma potrebbe anche essere la sua vittoria, quel trionfo a lungo accarezzato, atteso da oltre mezzo secolo.

Traduzione di Gordiano Lupi