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lunedì 2 febbraio 2015

"Paga con American Express?". Il capitalismo Usa sbarca a Cuba

La carta di credito che più rappresenta il sogno americano opererà anche all'Avana. E Fidel torna a farsi sentire. Per dire che stima Obama




Manila Alfano - Gio, 29/01/2015 - 08:28
Era lo spauracchio di qualsiasi dipendente, cassiere, direttore. A New York come a Vienna, a Buenos Aires come a Roma. Bastava la parola per mettere in agitazione un ufficio intero: Cuba.


Auto d'epoca nelle strade di Cuba
Divieto tassativo di trattare con i cubani e con qualsiasi cosa avesse a che fare con loro: vendere traveller cheque ai turisti diretti sull'isola, emettere biglietti anche solo con scalo all'Avana. Entrare in una filiale American Express era come entrare negli Stati Uniti e il governo era sempre stato categorico su questo genere di cose: sull'embargo nessuna leggerezza. Ogni svista era punita con sanzioni interne pesanti. Oggi invece il presente si riconcilia con il passato, e cala il sipario sull'isolamento da anni '60. L'american Express sbarca a Cuba. «Non posso ancora dire quando la nostra carta arriverà all'Avana, ma stiamo aspettando solo l'autorizzazione del Dipartimento del Tesoro americano», ha detto Marina H. Norville portavoce della società.

Il simbolo per eccellenza dell'America, del capitalismo, la carta di credito più chic e più famosa del mondo, quotata a Wall Street, la più antica, la più prestigiosa, si fa largo tra le strade polverose dell'Avana, dove viaggiano a rilento le vecchie cadillac blu. La carta con il centurione che è più uno status che un mezzo di pagamento entrerà negli hotel, nei negozi di lusso che arriveranno insieme ai campi da golf. È questo il vero segno della fine. Dell'addio concreto al castrismo, fallimento di un'ideologia, o epilogo naturale voluto dalla storia. Il fratello Raùl al posto di Fidel, il nuovo per il vecchio, il capitalismo spalancato alla vita tranquilla e lenta dell'Avana. Fidel isolato e malatissimo, ha scritto una lettera sul disgelo per dire che lui dell'America continua a non fidarsi, ma che lascia fare perchè come lui stesso ammette è dal 2008 che non ha più potere. Raul fa da sè e Alina, figlia ribelle del lider maximo fuggita negli anni Novanta sarebbe tornata sull'isola, segno altrettanto definitivo che davvero qualcosa è cambiato. «Non ho fiducia nella politica degli Stati Uniti, né ho scambiato una sola parola con loro, ma questo non significa un rifiuto nei confronti di una soluzione pacifica dei conflitti o dei rischi di guerra» scrive Fidel in una lettera alla Federazione Studentesca Universitaria. Ormai il suo silenzio dopo la clamorosa svolta durava dad troppo tempo. Rimbalzavano le voci maligne che lo volevano addirittura morto. Neppure un incontro con i «Cuban Five» le famose spie cubane rilasciate dagli Stati Uniti che erano stati la sua ultima grande battagllia antiamericana. C'è chi dice che sia molto arrabbiato con Raul, il fratello che ha disobbedito. Che ha virato verso il futuro togliendo l'anima a Cuba.

C'è tensione sull'isola che combatteva l'impero e Raul, forse condizionato dalla lettera del lider maximo, a sorpresa ha irrigidito le posizione, chiarendo che Cuba non intende fare alcuna concessione politica. Anzi. Il presidente cubano ha sottolineato come con la sua offerta di normalizzare i rapporti Obama «ha ammesso che gli Usa hanno sbagliato la loro politica contro Cuba» e questo è già di per se «un trionfo» per il popolo cubano. Frei Betto, uno dei principali esponenti della Teologia della liberazione brasiliana, e uno dei pochissimi che l'altro ieri ha incontrato Fidel ha raccontato che «Sta bene, è lucidissimo e entusiasta di Obama». «Fidel ha un'alta considerazione del presidente Obama e valuta positivamente il suo operato. Ma allo stesso tempo ritiene che il processo di riavvicinamento sarà molto lungo e che gli Stati Uniti devono assumere iniziative concrete, come porre fine all'embargo e togliere Cuba dalla lista nera dei Paesi terroristi». Si torna al punto. La svolta non è tale se non si toglie «el bloqueo».


Oggi questo muro d'acqua viene lambito da una carta di credito che degli Stati Uniti ne hanno fatto un onorato simbolo. L'American Express non è una carta di credito qualsiasi; più di altre rappresenta il sogno americano. Lo diceva anche la pubblicità: «My Life. My Card», per lei ci hanno messo la faccia Martin Scorsese, Robert De Niro, Kate Winslet, Tiger Woods. Quella carta con il centurione è l'ultimo sfregio ai castristi, a quelli che al capitalismo guardavano come una malattia da tenere lontana dal popolo. Oggi quella stessa gente dice di essere contenta, che quell'intesa con Obama la brama. Obama avava già avvertito. La fine dell'embargo sarà un processo lungo, in accordo tra la Casa Bianca e il Congresso. Sono tutti al lavoro.

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