Arrivata sull'isola la prima delegazione governativa Usa. La gente già sogna nuovi business. Ma Raúl Castro non sembra disposto a cedere molto. E tanti ragazzi ancora pensano alla fuga
L'AVANA - Vedere una bandiera a stelle e strisce che
ondeggia su un edificio della capitale cubana non è più un tabù. Una l'hanno
messa sul Saratoga, l'albergo che la settimana scorsa ha ospitato la prima
missione parlamentare di democratici Usa dopo lo scambio delle spie del 17
dicembre e l'alleggerimento dell'embargo. L'altra l'ha esposta sul suo balcone
Estrella, una dottoressa cubana che affitta ai turisti due camere nella sua
grande casa del Vedado, un vecchio quartiere elegante del centro dell'Avana.
"Non mi faccio illusioni - commenta lei
- la strada è lunga: ma ormai il
disgelo è iniziato. Io sono pronta a ospitare americani, la mia casa è smoke
free ". E ieri, mentre la delegazione governativa guidata dal segretario
di Stato per l'America Latina, Roberta Jacobson, iniziava le trattative con il
governo cubano per il pieno ripristino delle relazioni diplomatiche, interrotte
dal 1961, e lo scambio di ambasciatori, una serie di bandierine americane
svettavano dalle noci di cocco della bancarella di un venditore ambulante.
I cubani sono rapidi nel cogliere la direzione del vento.
Dopo questa prima serie di incontri ad alto livello, entro qualche mese è
prevista la prima missione con fini commerciali organizzata dal governatore
democratico di New York, Andrew Cuomo. Poi, è questa la road map della Casa
Bianca, prima della fine dell'anno, Barack Obama spera di convincere il
Congresso a abolire " el bloqueo" liberando tutte le potenzialità di
una pace che molte lobbies economiche negli Stati Uniti vedono come il prossimo
business.
E' evidente che il governo americano vuole bruciare le tappe
ma Raúl Castro non sembra disposto a concedere granché, almeno per ora, né
riguardo ai diritti, umani e politici, né sul controllo dello Stato
sull'economia. Nonostante le riforme, avviate dopo l'uscita di scena di Fidel
Castro nel 2008, le attività private che si possono svolgere sull'isola sono
poche e poco importanti: taxisti, barbieri, meccanici. Tutto il resto è
proibito e dominato dalla gestione di Stato. L'apertura al mercato è lenta e
confusa. Così nel Congresso Usa lo scenario sulla svolta presidenziale rimane
molto incerto come si è potuto vedere anche martedì, nel giorno del discorso
sullo Stato della Nazione, quando il repubblicano Marco Rubio ha invitato al
Senato dirigenti dell'opposizione cubana contrari alle aperture della Casa
Bianca.
Per ora le nuove regole di Obama facilitano i viaggi a Cuba,
anche se non quelli "turistici", e aumentano fino a duemila dollari a
trimestre la quantità delle rimesse che i cubani residenti negli Stati Uniti
possono inviare ai loro parenti sull'isola. Ma già da qualche tempo circa 70mila
statunitensi ogni anno visitano Cuba, molti "triangolando" con uno
scalo intermedio in Messico o in Canada per aggirare il divieto, e nel corso
del 2015 si prevede che raddoppieranno, protetti dietro la giustificazione di
missioni accademiche o umanitarie. Però, oggi, più che l'onda dei turisti, i
cubani si attendono dall'America investimenti e commerci.
Se si esclude la zona di Habaguanex, la piccola holding
fondata da Eusebio Leal, un intimo amico di Fidel Castro, che possiede a
ridosso della Plaza de Armas e dell'Ambos Mundo, l'albergo di Hemingway,
ristoranti, bar, posadas e birrerie, completamente restaurati, l'Avana ha
l'aspetto di una città terremotata, tutta da ricostruire. I bellissimi edifici
in stile coloniale sul Malecòn, il lungomare, cadono a pezzi. E il resto è
peggio. Facciate malandate, finestre assenti, scale pericolanti. Al tramonto,
molte vie della città, sprofondano nell'oscurità per l'assenza di illuminazione
stradale.
Quello che sperano, da una parte e dall'altra dello Stretto
della Florida, le generazioni più giovani e meno coinvolte nella vecchia
battaglia ideologica fra il regime e l'esilio, è una piena liberazione delle
relazioni, dei commerci, degli spostamenti. E questo sarà possibile solo con la
totale abolizione dell'embargo, che frena scambi e investimenti. Oggi i divani
delle hall dei grandi, e piuttosto decrepiti, alberghi di Cuba sono presi
d'assalto da ragazzi, i bloggers, che comprano le tesserine per la connessione
a Internet, dieci euro per un'ora, e ci trascorrono gran parte della notte
navigando nel mondo globale. A loro poco importa chi governa. Vogliono solo
avere le libertà di tutti gli altri giovani della loro età. Così uno degli
effetti indesiderati della svolta è l'aumento dei giovani cubani in fuga che
arrivano alle frontiere degli Stati Uniti. A spingerli è il timore che, con la
fine dell'embargo, venga abolita anche la legge che consente loro di godere
automaticamente dell'asilo politico se toccano terra americana. E' la famosa
" Wet feet, dry feet ", la regola dei "piedi bagnati, piedi
asciutti", che rappresenta da mezzo secolo uno straordinario privilegio
concesso agli immigrati cubani rispetto a tutti gli altri. I visti per il
Messico si comprano abbastanza facilmente, poi basta arrivare a Tijuana,
raggiungere il posto di frontiera e gridare: "Sono cubano!", per
passare senza problemi dall'altra parte e viaggiare verso la Florida e Miami, dove
molti hanno parenti e un lavoro che li aspetta.
Sono le mele avvelenate di una pax americana che è ancora
lontana dall'essere efficace su un regime che conserva gelosamente tutte le sue
censure. "Meglio andar via", commenta
Lazara, che ha fatto giorni di code al consolato canadese
per ottenere un visto d'uscita, mentre discute con i suoi amici le notizie
sulle condizioni di salute sempre più precarie di Fidel Castro: "Qui - dice
sconsolata - non cambia mai veramente niente".
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