Efficienza e deficienza
Recentemente sono stato incolonnato per un'ora in
macchina sulla via Flaminia a Roma. Un riflesso condizionato di quasi
cinquant'anni di traffico mi portava ad avere fretta. Più o meno tutti avevano fretta. Quando non hai cose migliori da fare nella
vita, ti occupi di filosofia ed io, valutata attentamente la situazione,
terminati gli acquisti furiosi ai grandi magazzini, non avevo nulla da fare,
non avevo fretta e quindi, in poche parole, potevo essere er Socrate de Ponte Milvio. Ho iniziato a guardare quelle facce inferocite
che si litigavano decimetri di spazio, che facevano dispetti ai motociclisti,
che fumavano compulsivamente, che inviavano sms velocissimi al nulla, che
avevano fretta, dannata fretta, poco tempo, agende zeppe, stress, maledetto
stress, ed ho pensato ad un'altra vicenda minuscola che mi era capitata un paio
di settimane prima a L'Avana, Cuba, che è sulla terra, sulla terra che è un astro (citazione perchè non mi si
parli dietro).
Mi trovavo in un ufficio di L'Avana. Avevo appena
ricevuto la prestazione professionale di cui avevo bisogno e quindi mi mandano
a pagare nell'ufficio pagamenti. Vecchia casa malandata di Miramar. Scendo
scale di marmo. Percorro un corridoio buio. Apro una porta a vetri dove era
scritto Contabilidad e faccio pace
con la vita. Alla scrivania era la capo contabile, una negrona di una
cinquantina d'anni con una cofana di capelli non inferiore a quella di Moira
Orfei, intorno una decina di persona a fare sostanzialmente niente, davanti a
lei un'altra donnetta concentratissima che le faceva le unghie. Di fronte al
mio: "Dovrei pagare questa fattura...", vedo sguardi lievemente
seccati, la donnetta delle unghie che si ritrae come un paguro e quella dozzina
di umani, piazzati là a far passare la calura, che si
sistemano in una posizione decente cercando di accreditare un'idea di
efficienza a cui nessuno crede. La negrona fa per alzarsi e chiede alla piccola
di lasciarmi la sedia. Io non ho fretta. Mi sembra bellissimo quel quadretto
tanto che avrei voglia di farmi assumere per stare con loro. Dico: "Per
l'amor di dio... non interromperei mai un arreglo
de uñas... Mi siedo lì e aspetto...". Dopo un primo
istante di diffidenza (chi è questo? Lo
mandano gli ispettori? È una spia?) tutti si rilassano e io
mi siedo. Vestito come sono non faccio paura. Riprendono a parlare dal punto in
cui li avevo interrotti. Una parla di un attore di novelas bello a cui farebbe
molte cose non meglio precisate. Poi un'altra parla degli interventi di
chirurgia estetica. Ridono parecchio. La mia presenza rende appena più frizzante la conversazione. Una sessantenne un po' vezzosa mi invita al
suo compleanno a fine luglio. Le dico che porto da bere. Ridacchia.
Ridacchiano.
Sono "el italiano". Quando decreto che mi piace
molto il colore di unghie che ha scelto la mia negrona, sento il tripudio:
"Vedi?", rivolta alla sua avversaria "in Italia si vede elegante
questo rosso, non quella merda che ti sei messa tu...", e giù risate. Ora potrei chiederle la cassa, due finestre e un rene e lei me li
darebbe. Passano quaranta minuti buoni. Si asciuga lo smalto sulle unghie.
Mette una decina di timbri ed incassa il pagamento. Me ne vado malvolentieri.
Saluto con una serie di promesse e sono in strada.
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