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ALEJANDRO ARMENGOL. REPRESSIONE E PANNOLINI.
9 giugno 2013
traduzione/adattamento e riduzione a cura di Yordan Fuentes
De Arnaiz della redazione di Nuovacuba
Alejandro Armengol - El Nuevo Herald
Non ci dovrebbero essere illusioni su un rilassamento del
controllo politico sotto il presidente Raul Castro. Il sistema cerca di
seminare sconforto assieme alla paura. Gli argomenti possono non essere
persuasivi e le risorse utilizzate sono caratterizzate dalla loro mancanza di
originalità. La polizia però non è interessata a convincere, ma a persuadere e
la mancanza di fantasia è una delle regole del mestiere.
Se a Cuba ci fosse un barlume di democrazia, da anni i
fratelli Castro sarebbero stati rimossi dal potere. In primo luogo, perché
inetti. Ripeterlo è banale, eppure la ripetizione non ci salva dallo
stupore.
Un rapporto divulgato sul sito digitale Havana Times fa
sapere, almeno a quelli nell’esilio, che le madri cubane sono costrette a
riutilizzare i pannolini usa e getta.
“Quasi tutto il corredo per i neonati si acquista nei negozi
per riscuotere valuta a un prezzo esorbitante se si considera che lo stipendio
base è di 250 pesos (10 CUC)”, ha detto Mercedes González Amade.
Mentre il bambino è piccolo, c’è la possibilità che i
pannolini usa e getta possano essere acquistati, come riferisce Havana Times
specificando che quando la taglia è piccola la confezione contiene da venti a
trenta pannolini. Con l’aumento delle dimensioni, tuttavia aumenta anche il
prezzo e diminuisce la qualità. Così le madri devono valersi dei pannolini già
utilizzati, togliere l’imbottitura, lavando dopo il rimanente per poi stenderlo
ad asciugare.
“Una volta asciutto, da dove è stato preso quella che è
comunemente chiamata “trippa” (l’imbottitura), introduciamo due pannolini di
stoffa piegati in quattro e, se per caso, il pezzo che aveva prima dell’adesivo
perde il suo effetto, utilizziamo due spilli”, dice González Amade.
Dover ricorrere a questa soluzione è tipico di una cultura
della povertà, in cui la necessità richiede un adattamento della merce in base
ad una situazione di miseria. Non c’è un “embargo imperialista” che giustifichi
quest’uso. Qualsiasi pretesto ideologico è solo cinismo. Per decenni il regime
cubano si aggrappò alla tesi del futuro per deviare qualsiasi sguardo critico
al presente. Ora il tutto si riduce a un “si salvi chi può”.
Se Fidel Castro proclamò che lo Stato si sarebbe preso
carico di tutto, dalla formazione superiore fino alla produzione di gelato,
quello che persiste ancora oggi è un completo disastro, nel quale convivono i
campus universitari in province artificialmente costruite e anziani che vendono
coni di arachidi, bambini che mendicano chiedendo qualcosa ai turisti – e più di
un video caricato su Internet lo mostra –, e uomini e donne che sopravvivono
con stipendi da fame.
Quando è diventato troppo evidente che il governo cubano non
era in grado di soddisfare le esigenze più elementari, non si optò per altra
soluzione al riguardo se non di spostare il problema alla famiglia.
Questa è, in ultima analisi, una delle “vittorie politiche”
del regime negli ultimi anni: che i membri della famiglia, soprattutto quelli
che vivono all’estero, si occupino della cura degli svantaggiati, in
particolare i bambini e gli anziani. Non solo ha buttato giù per lo scarico
l’uguaglianza e la vantata giustizia sociale sostenuta per anni, ma l’intero
tessuto economico e sociale proprio di qualsiasi paese, dal sistema delle
pensioni fino all’offerta di lavoro.
La differenza per Cuba è che quelli hanno causato la
distruzione si presentano ora come quelli in grado di rimediare il disastro,
mediante concessioni date a contagocce e decreti legge veloci come tartarughe:
il ruolo del governo nelle mani di persone che agiscono in qualità di
riparatori di catini, aggiustatori di molleggi dei materassi e venditori di
lattine. Con la particolarità che, a differenza di quelli che nel passato,
vagando per le strade offrivano questi servizi da poveracci, oggi ci sono loro
che si arricchiscono.
È chiaro che per agire con l’impunità che tuttora
dispiegano, l’inganno non basta: devono sopprimere i fatti e le denunce,
favorire l’invidia e conservare l’abbandono.
Il regime cambia le leggi e ordinamenti al fine di
perpetuarsi. Tali cambiamenti sono fondamentali per aree della vita quotidiana.
Ciò che un tempo era un delitto a Cuba, è ora consentito. Durante il governo di
Fidel Castro si era imposta una politica di non essere guidati da una mentalità
imprenditoriale, preoccupata per le prestazioni e i profitti, ma di trarre
beneficio economico come conseguenza degli obiettivi politici. Raul Castro
sembra essere il contrario: l’uomo che vuole “far funzionare le cose”. Solo che
nessuno sa come ci riuscirà e l’efficienza continua a essere una frontiera e
non una conquista.
In sostanza però, la capacità o il diritto di esprimere un
desiderio di cambiare alcune leggi, così come gli aspetti e le condizioni
sociali, oppure la società e il governo nel suo insieme, continuano a essere
soffocati a Cuba, come quando questa persecuzione portava le vesti della lotta
di classe.
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