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giovedì 13 giugno 2013

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ALEJANDRO ARMENGOL. REPRESSIONE E PANNOLINI.


9 giugno 2013
traduzione/adattamento e riduzione a cura di Yordan Fuentes De Arnaiz della redazione di Nuovacuba




Alejandro Armengol - El Nuevo Herald




Non ci dovrebbero essere illusioni su un rilassamento del controllo politico sotto il presidente Raul Castro. Il sistema cerca di seminare sconforto assieme alla paura. Gli argomenti possono non essere persuasivi e le risorse utilizzate sono caratterizzate dalla loro mancanza di originalità. La polizia però non è interessata a convincere, ma a persuadere e la mancanza di fantasia è una delle regole del mestiere.

Se a Cuba ci fosse un barlume di democrazia, da anni i fratelli Castro sarebbero stati rimossi dal potere. In primo luogo, perché inetti. Ripeterlo è banale, eppure la ripetizione non ci salva dallo stupore. 

Un rapporto divulgato sul sito digitale Havana Times fa sapere, almeno a quelli nell’esilio, che le madri cubane sono costrette a riutilizzare i pannolini usa e getta. 

“Quasi tutto il corredo per i neonati si acquista nei negozi per riscuotere valuta a un prezzo esorbitante se si considera che lo stipendio base è di 250 pesos (10 CUC)”, ha detto Mercedes González Amade. 

Mentre il bambino è piccolo, c’è la possibilità che i pannolini usa e getta possano essere acquistati, come riferisce Havana Times specificando che quando la taglia è piccola la confezione contiene da venti a trenta pannolini. Con l’aumento delle dimensioni, tuttavia aumenta anche il prezzo e diminuisce la qualità. Così le madri devono valersi dei pannolini già utilizzati, togliere l’imbottitura, lavando dopo il rimanente per poi stenderlo ad asciugare.

“Una volta asciutto, da dove è stato preso quella che è comunemente chiamata “trippa” (l’imbottitura), introduciamo due pannolini di stoffa piegati in quattro e, se per caso, il pezzo che aveva prima dell’adesivo perde il suo effetto, utilizziamo due spilli”, dice González Amade. 

Dover ricorrere a questa soluzione è tipico di una cultura della povertà, in cui la necessità richiede un adattamento della merce in base ad una situazione di miseria. Non c’è un “embargo imperialista” che giustifichi quest’uso. Qualsiasi pretesto ideologico è solo cinismo. Per decenni il regime cubano si aggrappò alla tesi del futuro per deviare qualsiasi sguardo critico al presente. Ora il tutto si riduce a un “si salvi chi può”. 

Se Fidel Castro proclamò che lo Stato si sarebbe preso carico di tutto, dalla formazione superiore fino alla produzione di gelato, quello che persiste ancora oggi è un completo disastro, nel quale convivono i campus universitari in province artificialmente costruite e anziani che vendono coni di arachidi, bambini che mendicano chiedendo qualcosa ai turisti – e più di un video caricato su Internet lo mostra –, e uomini e donne che sopravvivono con stipendi da fame. 

Quando è diventato troppo evidente che il governo cubano non era in grado di soddisfare le esigenze più elementari, non si optò per altra soluzione al riguardo se non di spostare il problema alla famiglia.  

Questa è, in ultima analisi, una delle “vittorie politiche” del regime negli ultimi anni: che i membri della famiglia, soprattutto quelli che vivono all’estero, si occupino della cura degli svantaggiati, in particolare i bambini e gli anziani. Non solo ha buttato giù per lo scarico l’uguaglianza e la vantata giustizia sociale sostenuta per anni, ma l’intero tessuto economico e sociale proprio di qualsiasi paese, dal sistema delle pensioni fino all’offerta di lavoro. 

La differenza per Cuba è che quelli hanno causato la distruzione si presentano ora come quelli in grado di rimediare il disastro, mediante concessioni date a contagocce e decreti legge veloci come tartarughe: il ruolo del governo nelle mani di persone che agiscono in qualità di riparatori di catini, aggiustatori di molleggi dei materassi e venditori di lattine. Con la particolarità che, a differenza di quelli che nel passato, vagando per le strade offrivano questi servizi da poveracci, oggi ci sono loro che si arricchiscono.  

È chiaro che per agire con l’impunità che tuttora dispiegano, l’inganno non basta: devono sopprimere i fatti e le denunce, favorire l’invidia e conservare l’abbandono. 

Il regime cambia le leggi e ordinamenti al fine di perpetuarsi. Tali cambiamenti sono fondamentali per aree della vita quotidiana. Ciò che un tempo era un delitto a Cuba, è ora consentito. Durante il governo di Fidel Castro si era imposta una politica di non essere guidati da una mentalità imprenditoriale, preoccupata per le prestazioni e i profitti, ma di trarre beneficio economico come conseguenza degli obiettivi politici. Raul Castro sembra essere il contrario: l’uomo che vuole “far funzionare le cose”. Solo che nessuno sa come ci riuscirà e l’efficienza continua a essere una frontiera e non una conquista. 


In sostanza però, la capacità o il diritto di esprimere un desiderio di cambiare alcune leggi, così come gli aspetti e le condizioni sociali, oppure la società e il governo nel suo insieme, continuano a essere soffocati a Cuba, come quando questa persecuzione portava le vesti della lotta di classe.

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