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venerdì 3 maggio 2013


Cuba,

quando il governo vede la notizia come un tradimento




YOANI SANCHEZ

Il fatto di avere una data per celebrare e rivendicare la libertà di stampa va benissimo, però bisogna sempre ricordare che ogni giorno dell’anno dobbiamo lottare per ottenere questo obiettivo. La situazione è molto complicata: non solo in Paesi come Cuba dove la libertà di espressione è seriamente compromessa, ma anche per i cittadini di altri Paesi che devono difendere le piccole porzioni di libertà informativa che hanno raggiunto. Credo che avvicinarsi a quelle nazioni dove la situazione è più difficile sia un modo per prendere coscienza e per tenere in debito conto i passi avanti fatti dalla libertà di espressione da parte dei Paesi dove ciò è avvenuto. 

La libertà d’informazione è importante perché solo un popolo informato, consapevole di ciò che gli accade intorno può trovare le soluzioni. Quando si indottrina una popolazione, la si circonda di silenzio e di censura, accade che tale popolazione smetta innanzitutto di credere a ciò che le raccontano, smetta di interessarsi alle questioni pubbliche e si trasformi in una popolazione apatica. Là dove vige un monopolio ideologico o economico sui mezzi di informazione il popolo è più facile da tenere sotto controllo.

La mia esperienza come giornalista e cittadina che vive in un Paese dove non esiste giornalismo che non sia governativo e ufficiale è molto difficile. Quando un governo vede l’informazione, la notizia, l’atto di narrare la realtà come un tradimento - il giornalista corre molti rischi. Nel caso di Cuba i rischi vanno dalla possibile incarcerazione, la sorveglianza, la diffamazione, all’impedire la libertà di movimento al giornalista. Quella che stiamo vivendo a Cuba noi giornalisti indipendenti è un’esperienza dura, ma è al contempo una grande palestra, una specie di università giornalistica «on the road». Io racconto quello che vedo da blogger, da «citizen journalist». Sono affamata e appassionata di informatica: nella mia vita la tecnologia è stata un trampolino verso la libertà. Quando mi contestano, rispondo che non si dovrebbe parlare di me. Leggete il mio blog e criticatelo se è falso. Questa è libertà. Noi siamo quello che vediamo e io vedo una realtà in evoluzione: il racconto non è complicità, così come l’informazione non è tradimento.

A Cuba è illegale avere un’antenna parabolica per la tv via satellite, ma a quelle che ci sono si collegano tante famiglie: la condivisione di qualsiasi cosa possa servire per la nostra sopravvivenza non solo fisica, ma anche intellettuale, per noi è la prassi. A Cuba non si può avere una connessione Internet a casa, salvo stranieri. Usiamo i social network come un Sos: sono un martello per abbattere il muro informativo, più difficile di quello di Berlino. Sono stati un’enorme protezione per me. A me piace soprattutto Twitter per come agevola la comunicazione essenziale e diretta.
Perché i cubani non si svegliano? Me lo chiedono in tanti. Perché c’è tanta paura: non solo paura dello stigma, ma di diventare una non persona. Io quando ho paura non è per me, ma per i miei cari. Se però mi lasciano parlare, non ho più paura.

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