Cuba,
quando il governo vede la notizia come un tradimento
YOANI SANCHEZ
Il fatto di avere una data per celebrare e rivendicare la
libertà di stampa va benissimo, però bisogna sempre ricordare che ogni giorno
dell’anno dobbiamo lottare per ottenere questo obiettivo. La situazione è molto
complicata: non solo in Paesi come Cuba dove la libertà di espressione è
seriamente compromessa, ma anche per i cittadini di altri Paesi che devono
difendere le piccole porzioni di libertà informativa che hanno raggiunto. Credo
che avvicinarsi a quelle nazioni dove la situazione è più difficile sia un modo
per prendere coscienza e per tenere in debito conto i passi avanti fatti dalla
libertà di espressione da parte dei Paesi dove ciò è avvenuto.
La libertà d’informazione è importante perché solo un popolo
informato, consapevole di ciò che gli accade intorno può trovare le soluzioni.
Quando si indottrina una popolazione, la si circonda di silenzio e di censura,
accade che tale popolazione smetta innanzitutto di credere a ciò che le
raccontano, smetta di interessarsi alle questioni pubbliche e si trasformi in
una popolazione apatica. Là dove vige un monopolio ideologico o economico sui
mezzi di informazione il popolo è più facile da tenere sotto controllo.
La mia esperienza come giornalista e cittadina che vive in
un Paese dove non esiste giornalismo che non sia governativo e ufficiale è
molto difficile. Quando un governo vede l’informazione, la notizia, l’atto di
narrare la realtà come un tradimento - il giornalista corre molti rischi. Nel
caso di Cuba i rischi vanno dalla possibile incarcerazione, la sorveglianza, la
diffamazione, all’impedire la libertà di movimento al giornalista. Quella che
stiamo vivendo a Cuba noi giornalisti indipendenti è un’esperienza dura, ma è
al contempo una grande palestra, una specie di università giornalistica «on the
road». Io racconto quello che vedo da blogger, da «citizen journalist». Sono
affamata e appassionata di informatica: nella mia vita la tecnologia è stata un
trampolino verso la libertà. Quando mi contestano, rispondo che non si dovrebbe
parlare di me. Leggete il mio blog e criticatelo se è falso. Questa è libertà.
Noi siamo quello che vediamo e io vedo una realtà in evoluzione: il racconto
non è complicità, così come l’informazione non è tradimento.
A Cuba è illegale avere un’antenna parabolica per la tv via
satellite, ma a quelle che ci sono si collegano tante famiglie: la condivisione
di qualsiasi cosa possa servire per la nostra sopravvivenza non solo fisica, ma
anche intellettuale, per noi è la prassi. A Cuba non si può avere una
connessione Internet a casa, salvo stranieri. Usiamo i social network come un
Sos: sono un martello per abbattere il muro informativo, più difficile di
quello di Berlino. Sono stati un’enorme protezione per me. A me piace soprattutto
Twitter per come agevola la comunicazione essenziale e diretta.
Perché i cubani non si svegliano? Me lo chiedono in tanti.
Perché c’è tanta paura: non solo paura dello stigma, ma di diventare una non
persona. Io quando ho paura non è per me, ma per i miei cari. Se però mi
lasciano parlare, non ho più paura.
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