Blog del sito http://cubareale.webnode.it/

giovedì 3 aprile 2014

Punto di vista - Turismo americano

da  http://ilvecchioeilmare.blogspot.it/


CALIFORNIA MAGAZINE

Di Wendy Miller (direttrice della rivista “California”)

Eccoci. Siamo avvolti nei nostri maglioni, seduti nel nostro autobus (fabbricato in Cina e con aria condizionata al massimo) e ci addentriamo silenziosamente attraverso la campagna cubana. Fuori, la temperatura è di circa 30 gradi ed è umido; la gente che intravediamo o che è ferma agli angoli delle strade è vestita con pantaloncini e canottiere; mentre nel bus si gela.
Dai nostri posti, comodi ma freddi, si vedono alcuni contadini che fanno seccare del riso lungo la strada. All’improvviso una brusca frenata: auto in avaria davanti a noi. Ci giriamo attorno e passiamo oltre, quasi sfiorando un uomo che vende noccioline ai bordi della strada. Dopo un po’ attraversiamo una zona boscosa nel mezzo della quale si trova un edificio (ormai in rovina, purtroppo) della metà del XX secolo.
Lungo un tratto di spiaggia, bellissimi bungalow bianchi confinano con l’acqua. Mentre dall’altra parte della strada un gruppo di edifici dipinti a “tinte tropical” mi ricordano alla mente la serie tv Miami Vice degli anni ’80.
Siamo al terzo giorno di un tour di otto giorni in totale al quale partecipo con 28 compagni di viaggio. Si tratta di un tour “People to People” organizzato da Cal Discoveries Travel (filiale della Cal Alumni Association) che dal febbraio 2012 offre ai viaggiatori statunitensi la possibilità di effettuare visite guidate a Cuba.
Si tratta di una settimana piena di attività che comprendono la visita a tre città e innumerevoli eventi culturali e formativi: attività “interattive”, tre conferenze, visite a strutture mediche, comunità religiose, musei, scuole di danza e musica, due alberghi, e molti ristoranti.
Il nostro percorso, come tutti i viaggi sull’isola approvati dalla legge, deve ovviamente essere conforme alle restrizioni statunitensi (benché molti nel nostro gruppo continuino a pensare che le restrizioni siano state imposte da Cuba). Ricordo le parole di uno dei miei compagni di viaggio il primo giorno, mentre eravamo in fase di atterraggio a Cienfuegos: “Questo viaggio sarà veramente intensissimo e non ci offrirà molto tempo libero. Scommetto che il governo cubano vuole seguire le nostre tracce”. “No”, gli ho risposto io, “Penso che questa è una cosa che farebbe più volentieri il nostro governo”.




Il sito web del Dipartimento del Tesoro pubblica linee guida piuttosto chiare su questo punto: “…i turisti avranno un orario a tempo pieno di attività di scambio educativo che si tradurrà in un’interazione importante tra i viaggiatori e gli abitanti di Cuba”.
La nostra prima possibilità di “interazione” ha avuto luogo proprio durante il primo giorno, quando abbiamo incontrato Yaritza, la nostra guida cubana (una bella e giovane donna che parla quattro lingue – tra le quali ovviamente spagnolo e inglese – che possiede una vasta conoscenza della storia e della cultura di Cuba, della sua struttura sociale, della sua economia e che, come scopriremo durante il tour, dimostrerà infinita pazienza ed impegno nel raccontarci ogni cosa, oltre a tradurre e parlare con noi per circa otto-dieci ore al giorno). Come la maggior parte dei cubani, Yaritza lavora per il governo. Essere una guida è davvero un buon lavoro; forse non prestigioso come l’insegnamento (la vecchia professione di Yaritza), ma molto più vantaggioso in termini economici.
Come guida Yaritza riceve mance in CUC, la moneta convertibile utilizzata dai turisti (i CUC sono legati al valore del dollaro e valgono 25 volte il peso cubano, la moneta con cui vengono pagati i salari statali). Yaritza inoltre non sembra affatto “un’orgogliosa beneficiaria del sistema socialista”. La sua attitudine appare piuttosto progressista: Yaritza è femminista, proprietaria di una casa, a favore della riforma economica, simpatizzante delle piccole imprese private; nonché madre lavoratrice attenta e presente (a giudicare dalle regolari chiamate a casa per “monitorare” il figlio).
L’AVANA E IL TURISMO

Abbiamo trascorso la maggior parte del nostro tempo nella capitale di Cuba, L’Avana: una grande città così variegata, vivace e colorata che la mia prima reazione è stata quella di sentirmi “inadeguata” (come se avessi bisogno di almeno altri tre sensi per assorbirla completamente). Solo in fatto di architettura (da quella coloniale e neo- classica a quella barocca e art decó, quella “mafia style” della metà del secolo o quella sovietica) potrebbe travolgere e coinvolgere incessantemente per più di un mese anche uno storico appassionato.
A L’Avana Vecchia, altro sito Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, gli edifici restaurati sono così colorati che sembrano vivi. La sensazione è intensificata dal flusso costante di persone vestite in colori vivaci e dalla musica (assolutamente contagiosa) proveniente da ristoranti, bar e praticamente da ogni angolo di strada.
L’Avana seduce e sconcerta allo stesso tempo. È perfettamente pulita, eppure gran parte delle sue infrastrutture si stanno sgretolando inesorabilmente. Si tratta di una città fatta di contrasti, fra enormi e vecchi palazzi coloniali e case in cemento che ancora riportano i manifesti socialisti (ricordo dei legami sovietici, in realtà ancora esistenti). Negli edifici pubblici splendidamente restaurati, lunghe code di persone si avventurano nella lobby per utilizzare l’unico bagno funzionante o per prendere l’ascensore. Il governo possiede risorse limitate per rifacimenti e modifiche; e il loro utilizzo è ovviamente limitato. Tuttavia, i turisti sono ovunque e apprezzano ogni cosa, anche i disagi. Secondo le statistiche del governo, nel 2011 l’isola ha raggiunto oltre i 2,7 milioni di visitatori.
Un po’ paradossalmente, il turismo è promosso dallo stesso governo che rovesciò Batista, (il dittatore che ha contribuito a trasformare L’Avana in un parco divertimenti per adulti, ricca di alberghi, casinò e bordelli risalenti al periodo di “apertura alla Mafia” – così come ci ha riferito l’architetto Miguel Coyula).
È proprio il turismo a guidare l’economia di questa città; il sistema di classi basato su due diverse monete è piuttosto evidente: stranieri con molto denaro riempiono gli hotel (che sono stati rinnovati attraverso associazioni con investitori stranieri), mentre gli alberghi statali, più logori, rimangono mezzi vuoti.
Se c’è un posto a Cuba che ha un futuro nel settore turismo, questo è sicuramente Las Terrazas, dove il gruppo del tour ha trascorso il settimo giorno di viaggio. Il villaggio è situato nella Sierra del Rosario, una Riserva della Biosfera dall’UNESCO.

Las Terrazas, in precedenza una vasta area disboscata a 50 chilometri da L’Avana, è oggi una cittadina sulle rive di un lago che conta 1.400 abitanti. I fondatori originari del villaggio arrivarono alla fine del 1960 dai villaggi più poveri dei dintorni per coltivare con il metodo delle terrazze e per costruire. La comunità ha ora le scuole, un centro per anziani, una clinica medica, orti biologici, negozi di souvenir e un’ottima reputazione in materia di ecoturismo.


A partire, per esempio da quell’hotel e El Romero che può vantare un ottimo ristorante biologico vegetariano. Las Terrazas unisce convenientemente una precisa attitudine comunitaria, piccole imprese private e innovazione. È una delle mete preferite per la maggior parte delle persone del nostro tour e probabilmente il preferito di tutti i viaggiatori interessati a coniugare relax (comfort, cibo sano, etc…) a responsabilità sociale e ambientale (valori che noi californiani sentiamo molto vicini ed affini).
Sulla via del ritorno al bus, faccio due chiacchiere con Tito Núñez Gudas (lo chef del ristorante eco dove abbiamo pranzato) che viaggia con noi mentre rientriamo a L’Avana. Parliamo di Slow Food (di Alice Waters, di Michael Pollan…). “Siamo tutti parte del movimento Slow Food”, mi dice Tito con un sorriso.
Mentre mi avvolgo nuovamente nel maglione per proteggermi dall’inspiegabile gelo prodotto dall’aria condizionata del nostro bus cinese, mi rannicchio e penso al nostro ritorno a casa. Non ho comprato nemmeno un souvenir. Chiedo a Yaritza se potrò trovare delle magliette del Che in vendita all’aeroporto. “È probabile”, mi dice un po’ titubante. Poi specifica: “Comunque, se ci sono si potranno acquistare sia in CUC, dollari o euro”.

Nessun commento:

Posta un commento