INTERVISTA A YOANI SÁNCHEZ – RISPOSTE AGLI INTERNAUTI
22 aprile 2013
Redazione de El País, 19 aprile 2013
Puoi dirci la tua opinione sulla sinistra europea, dai
partiti socialisti alla sinistra antisistema. Dove ti posizioni
ideologicamente?
In realtà mi considero una persona trasversale, postmoderna,
non amo definirmi con le classiche schematizzazioni politiche. Nonostante
tutto, credo che in generale la sinistra europea sia stata troppo complice del
totalitarismo cubano. In alcuni casi per miopia, per il desiderio di credere
che l’utopia aveva trionfato nella nostra isola caraibica, in altri per
semplice antimperialismo, del tipo più manicheo.
Come vedi una risoluzione del possibile conflitto tra le due
Cuba, quella di Miami e quella vera e propria dell’Isola?
Dopo aver trascorso alcuni giorni a Miami, sono ancora più convinta
che la soluzione dei grandi problemi nazionali dovrà passare necessariamente
dal lavoro congiunto di queste “due Cuba”, come tu le chiami. Non dobbiamo più
chiamarci cubani dell’Isola e cubani di fuori, siamo cubani e basta. Gli
esiliati cubani giocheranno un ruolo importante nella transizione: abbiamo
bisogno delle loro conoscenze imprenditoriali e democratiche. Abbiamo bisogno
di quella parte di Cuba che loro hanno conservato vivendo lontani.
Hai fatto molti viaggi in diversi paesi. Come paragoni i
diversi sistemi politici?
Continuo a pensare che a Cuba viviamo in un capitalismo di
Stato, guidati da un clan familiare che non ci lascia neppure il diritto di
protestare. Il governo è padrone di quasi tutti i mezzi di produzione e da
questa proprietà guadagna un elevato plusvalore. In atri paesi ho visto molte
ingiustizie, ma nonostante tutto – a differenza della nostra nazione – in molti
di quei posti si ha la sensazione che in futuro le cose potranno migliorare,
speranza che noi cubani abbiamo perduto da tempo.
Se davvero il cittadino cubano è pronto per il cambiamento,
è consapevole di quel che comporta?
Perché una cosa è quel che pensiamo, un’altra è la dura realtà.
In realtà non siamo preparati al cambiamento. Ma nessuno è
preparato al nuovo. Forse le madri sono preparate a partorire un bambino,
curarlo e allevarlo ogni giorno, svegliandosi di buon mattino? Si apprende a
essere madre soltanto dopo aver messo al mondo un figlio. A essere liberi,
s’impara con la libertà.
Che importanza hanno le reti sociali sullo scenario politico
e sociale di molti paesi? Come credi che si svilupperà la situazione in
Venezuela? Che consiglio daresti ai milioni di venezuelani che chiedono un
cambiamento?
Non credo che soltanto la tecnologia ci renderà liberi, ma
penso che le reti sociali e i nuovi strumenti tecnologici aiuteranno a
costruire società più democratiche, pluraliste e partecipative. Nel mio caso, i
blog, Twitter, Facebook e i telefoni mobili sono stati un percorso di
allenamento civico. Raccomando ai venezuelani di non farsi rinchiudere in una
prigione. Io che vivo in una gabbia insulare, posso assicurare che è molto più
importante il rischio di volare liberi che la modesta dose di miglio che ci
concedono dopo aver chiuso le sbarre.
Puoi dirci chi finanzia il tuo viaggio in così tanti paesi?
Certamente. Ho risposto a questa domanda un’infinità di
volte durante questo viaggio. Sono andata in Brasile con un biglietto comprato
grazie a una colletta fatta via Internet, in maniera pubblica e trasparente.
Chiunque avrebbe potuto contribuire in forma civica e spontanea. Nella
Repubblica Ceca sono stata invitata dal Festival di Cinema One World, che ha
coperto ogni spesa, come è normale in questo tipo di eventi. In Messico sono
stata invitata dall’Università Iberoamericana, a New York dal Baruch College,
in Olanda da Amnesty International… a Miami da mia sorella esiliata che ha
messo da parte il denaro per invitarmi, in Perù da alcuni amici che ho
conosciuto all’Avana quando facevo la guida della città. Infine sono arrivata
in Spagna su invito dell’Editorial Anaya, per la quale ho pubblicato un libro,
de El País, periodico dove scrivo con frequenza, e di molti amici che mi
leggono e che mi sostengono. Non mi è mai mancato né un tetto né qualcosa da
mangiare. La mia vera ricchezza sono gli amici! Ma non si deve sapere…
Se a Cuba c’è tanta repressione, manca la libertà di
espressione e si imprigionano i dissidenti, perché tu sei libera e puoi
criticare così duramente il regime?
Sono contenta di rispondere a questa domanda. A Cuba c’è una
forte repressione, io stessa sono stata vittima di molte forme di repressione:
botte, arresti arbitrari, diffamazione senza diritto di replica, divieto di
uscire dal mio paese in venti occasioni, minacce alla mia famiglia e vigilanza
costante. Il fatto che sia uscita dal mio paese non è una concessione magnanima
di Raúl Castro, ma una mia piccola vittoria dopo aver lottato a lungo contro le
imposizioni governative.
A Cuba buttano fuori di casa i cittadini con la forza e li
lasciano per strada come accade da noi?
Sì, accade anche a Cuba. Basta leggere le denunce di sfratto
che ci sono in rete e che non hanno mai avuto risposta. Non solo, molti cubani vengono dichiarati
residenti illegali all’Avana e subito deportati a Oriente. “Mal comune mezzo
gaudio” (in cubano è più esplicito: male di molti consolazione per gli
sciocchi, ndt), si potrebbe dire, ma il fatto che voi abbiate gravi problemi
non può farci tacere i nostri.
Pensa ancora che Gabriel García Márquez non meritasse il
Nobel?
Quando avrei mai detto una cosa simile? Prima di fare una
domanda come questa, per favore, citi la fonte delle mie presunte asserzioni.
Non si lasci confondere dalle campagne di diffamazione… Ammiro la letteratura di
Gabo e sono una gran lettrice della sua opera, nessuno come lui ha meritato il
Nobel. Conservo gelosamente la mia copia, letta un’infinità di volte, di
Cent’anni di solitudine.
Non crede che se a Cuba si vivesse così male il popolo si
sarebbe ribellato? Non mi risponda dicendo che c’è la repressione, c’era anche
sotto Franco, ma la gente scendeva per strada a protestare.
La paura è la sola spiegazione della mancata ribellione. I
cubani esprimono il loro disaccordo emigrando… verifichi le cifre di quanti se
ne sono andati.
Tornerai al tuo paese dopo aver visto come si vive fuori?
Tornerò, perché per me “la vita non è in un altro luogo ma
in un’altra Cuba” e voglio aiutare a costruire dall’interno la Cuba che
desidero.
Considera il sistema
neoliberale che si è imposto in gran parte del mondo un’alternativa
adeguata per sostituire il sistema vigente a Cuba?
Il sistema attuale cubano è già profondamente neoliberale…
ci pagano in una moneta che non basta neppure per sopravvivere, il solo
sindacato legale è nelle mani dell’unico governo consentito, non esiste diritto
di sciopero, i licenziamenti abbondano… conosce un sistema più liberale?
Crede davvero che la maggioranza della popolazione cubana
desideri un cambiamento verso un sistema capitalista? Quale crede che sia il
modello migliore per l’isola?
Ho detto spesso che Cuba vive da molto tempo in un sistema
capitalistico. Dobbiamo smettere di credere alla propaganda del “socialismo”
cubano, un sistema che maschera il peggiore dei capitalismi. Credo che la gran
maggioranza dei cubani voglia vivere in un sistema che garantisca più
partecipazione e meno proibizioni.
Alcuni anni fa sono stata a Cuba e sentivo molte persone
dire che avrebbero voluto un modello di transizione democratica alla spagnola.
In realtà la nostra non è stata così perfetta… Come crede che sarà la
transizione cubana?
Abbiamo il vantaggio di poter imparare dagli errori altrui,
visto che abbiamo impiegato così tanto tempo per arrivare al cambiamento.
Inoltre abbiamo l’opportunità di cominciare da zero. Dobbiamo definire per
tempo una buona legge sui partiti e un finanziamento trasparente per garantire
la politica della Cuba futura. Nessuna transizione è uguale a un’altra.
Troveremo il nostro cammino… senza copiare nessuno, spero.
Lei condanna l’imposizione di sanzioni economiche degli
Stati Uniti nei confronti di Cuba?
Ho espresso la mia posizione persino davanti al senato degli
Stati Uniti, quindi con la sua domanda piove sul bagnato. Ritengo che l’embargo
nordamericano sia il pretesto più grande che in questo momento possiede il
governo cubano per giustificare il degrado economico e la mancanza di libertà.
Credo che debba finire quando prima.
Cosa ne pensa della base navale di Guantánamo occupata dagli
Stati Uniti? Non dovrebbe tornare di proprietà cubana?
La Base Navale di Guantánamo un giorno tornerà a essere
proprietà dei cubani, ma OCCHIO… dei cubani… non dell’attuale governo di Cuba.
Sono due cose diverse. Quando saremo un paese democratico, rispettoso del
pluralismo, molto probabilmente questo argomento diventerà prioritario.
Yoani, lotti con coraggio per la libertà. Prima del 1959, a
Cuba le disuguaglianze erano notevoli. Adesso non tutto è perfetto. Ci sono i
privilegiati del sistema, è vero. Ma anche gli altri cubani godono di un
sistema sanitario e di un sistema educativo, possiedono una casa – anche se
cadente – e mangiano ogni giorno. In tutta l’America Latina ci sono condizioni
di miseria, molti non hanno neppure la millesima parte di quel che possiedono i
cubani. Come dovrà essere lo sviluppo economico di Cuba per evitare di fare
quella fine?
In realtà da molto tempo non è vero che a Cuba non esistono
differenze sociali. La Cuba attuale si
divide tra coloro che hanno accesso alla moneta convertibile (dollari
mascherati) e gli altri che devono vivere solo con il salario (pagato in pesos
cubani). Si tratta di una Cuba dura, brutale, con grandi sacche di povertà. Il
problema principale è che “Robin Hood” sa togliere le ricchezze ai ricchi per
distribuirle ai poveri, ma non sa creare ricchezze… quando queste finiscono…
alla fine tutti restiamo poveri.
Yoani, lei è diventata una dissidente perché l’ha voluto o
perché la dittatura castrista con la sua persecuzione l’ha resa famosa? Si
sarebbe mai immaginata di arrivare a questo punto?
Ogni uomo dipende dalle circostanze. Fidel Castro sarebbe
stato lo stesso uomo se non fosse esistito Batista? Non credo… Inoltre non mi
considero una dissidente, qualifica importante che meritano più di me altri
attivisti cubani, ma una cronista della realtà. Il problema è che a Cuba la
realtà è profondamente dissidente. La realtà nella nostra Isola è la negazione
costante della retorica ufficiale.
Ha mai pensato di realizzare un reportage sulle condizioni
di vita delle piccole realtà dell’interno di Cuba – luoghi dove l’oscurantismo
politico ed economico sono più aggressivi – per stigmatizzare le differenze
sociali che esistono rispetto all’Avana?
Lo faccio costantemente. Mi reco spesso nelle piccole
cittadine dell’interno di Cuba per impartire corsi, per insegnare ad attivisti
politici come si usa Twitter grazie a un telefono mobile non collegato a Internet.
La mia piccola soddisfazione è che adesso in molte di quelle realtà periferiche
c’è gente che racconta quel che accade usando 140 caratteri, grazie ai miei
corsi. Il mio motto è: “raccontati a te stesso”.
Cosa pensi della reazione di Henrique Capriles e dei suoi
dubbi sulla regolarità delle elezioni in Venezuela? Credi che Maduro accetterà
un risultato diverso dopo aver contato di nuovo i voti?
La richiesta di contare di nuovo i voti è stata molto
giusta. Non credo che Nicolás Maduro accetterà un risultato sfavorevole, ma non
c’è peggior battaglia di quella che non si combatte.
Come pensi che sia possibile evitare le disuguaglianze
sociali ed economiche in un sistema parlamentare? Nei sistemi democratici,
infatti, il divario tra ricchi e poveri cresce sempre di più…
A Cuba le differenze sociali sono abissali. Per esempio tra
un gerarca in verde oliva e un cittadino comune c’è un abisso grande quanto tra
un re e un semplice operaio, forse anche di più. La casta che governa Cuba ha
potere di vita e di morte, decide sull’educazione dei nostri figli, sul medico
che deve visitarci, sulla nostra libertà di movimento… Il sistema parlamentare,
nel nostro caso, servirà a ridurre certe differenze, farà in modo tale che una
“casta di eletti” non possieda un potere così grande su ogni dettaglio della
nostra vita quotidiana.
Come le sembra il giornalismo che si produce fuori da Cuba?
È proprio come se lo attendeva?
Mi è sembrato un giornalismo con luci e ombre, moderno, in
crisi, ma ogni crisi produce un parto. Ogni crisi implica una rinascita.
Purtroppo, all’interno di Cuba, quel che si produce in ambito ufficiale non si
può neppure chiamare giornalismo. Inoltre, i miei colleghi giornalisti
indipendenti, blogger e giornalisti civici corrono molti rischi per ogni parola
che scrivono, per ogni denuncia che fanno. Spero che un giorno non lontano i
cubani potranno fare giornalismo senza rischiare di perdere la libertà e di
essere linciati dai media ufficiali.
Traduzione di Gordiano Lupi
http://www.infol.it/lupi
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