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Le minacce a Yoani.
Intervista di Jorge Ramos Avalos
17 Aprile 2013
Le minacce della
dittatura dei fratelli Castro contro la blogger cubana Yoani Sánchez sono state
dirette. Me l'ha raccontato lei stessa durante un'intervista a Miami: «Sono
stata arrestata, malmenata ma non mi sono mai preoccupata. Ma l'ultima volta
che mi hanno arrestata un ufficiale della sicurezza mi ha detto: Tuo figlio va
in bicicletta? Che faccia attenzione. Queste parole mi hanno fatto molto male».
Yoani sa di essere
vulnerabile a causa del figlio Teo, 18 anni, in età per fare il servizio
militare obbligatorio. «Sì, lui è il mio punto debole», riconosce. Sa bene che
può subire gravi rappresaglie per le cose che dice. Ma continua a parlare.
Perché? «Chiaro che
temo le rappresaglie, ma che devo fare? Penso che il modo migliore per
proteggermi sia proprio continuare a parlare». Nonostante queste minacce così
dirette, appena finito il suo giro del mondo in 80 giorni, rientrerà a Cuba.
«Andare in esilio? Non ne ho nessuna intenzione», mi ha detto. La sua vita è
Cuba.
Il suo tour è
straordinario, tipico di una persona che non ha mai viaggiato e che, alla prima
opportunità, vorrebbe mangiarsi il mondo. Il permesso di uscita le è stato
negato per anni, ma finalmente Yoani ce l'ha fatta. Da perseguitata politica
all'interno dell'Isola, fuori da Cuba – nonostante il regime dell'Avana – è
diventata una specie di celebrità. Sono stato testimone di un fatto
incredibile. Quando Yoani ha visitato Miami, l'attore-regista cubanoamericano,
stella di Hollywood, Andy García voleva conoscerla. «È una donna molto
coraggiosa», mi ha detto Andy. Lui è andato a prenderla prima di una
presentazione e l'ha invitata a pranzo. Ma i ruoli si sono invertiti: la stella
era Yoani. Andy, con molta semplicità, si limitava ad ascoltarla.
Questo accade con
Yoani. No puoi fare a meno di ascoltarla. Lei ti racconta com'è la Cuba di oggi, non quello che
si sono inventati all'estero. Ovunque si presenta, non importa quale paese,
riempie gli auditori. Quasi mezzo milione di persone la seguono su Twitter
(@YoaniSanchez) e la dittatura cubana non ha armi adeguate per combattere una
persona così coraggiosa, forte e trasparente.
«Cuba è l'isola dei
non connessi», mi ha detto durante una breve pausa. «Cuba mi sembra così
assurda da lontano; vivo in un castello medioevale, perché non c'è libertà,
perché il governo stesso si comporta come un signore feudale; è tutto molto
triste e quando siamo all'estero si sente ancora di più».
«Ogni giorno che
passa sempre più persone si rendono conto che viviamo in una dittatura». Ma
puoi dire che Cuba è una dittatura senza avere problemi?, le chiedo.
«Dico la prima
sillaba e già mi metto nei guai. Ma mi alzo ogni giorno pensando che devo
comportarmi come una cittadina libera».
Yoani si descrive
come una “cronista della realtà”. Nient'altro. Ma è molto di più. Lei si è
trasformata nel simbolo del cambiamento a Cuba. Altri hanno tentato ma non ci
sono riusciti. Molti sono morti cercando di farcela. Yoani, invece, continua a
colpire con una logica infallibile una dittatura in pieno secolo XXI che non ha
elezioni libere e pluraliste, che limita ferocemente la libertà di espressione,
che incarcera e assassina dissidenti, e che si muove in senso contrario alla
maggior parte dei paesi del mondo.
Yoani dice sempre:
«I miei capelli sono liberi e io pure». Si tocca la nera chioma che le scende
lungo i fianchi. E aggiunge una cosa che può sembrare strana per una persona
che non ha smesso di parlare da quando è uscita da Cuba: «Sono una persona
molto timida». Insiste che la sua missione è «spiegare Cuba a chi non c'è mai
stato». La blogger ci introduce nella sua vita quotidiana: «Sono iperattiva. Da
quando mi alzo faccio un sacco di cose. Amo la mia vita familiare». Il regime
la controlla, spesso la fa arrestare. Il suo cellulare, un iPhone che le ha
regalato la sorella («un telefono monco perché privo di connessione internet»)
è regolarmente bloccato e messo sotto controllo. Ormai è abituata al fatto che
la dittatura castrista racconti la balla che è un'agente della CIA, al punto che
risponde con un sorriso: «Questa operazione si chiama uccidere il messaggero.
Non controbattere le sue opinioni, ma annullarlo moralmente. No, non lavoro per
la CIA. Non
potrei mai lavorare per una realtà straniera, inoltre non ho mai militato in un
partito politico». Yoani si guadagna la vita con le cose che sa fare, come la
maggior parte dei cubani. «Sono esperta di computer, lavoro con loro e li
riparo. Inoltre scrivo su diversi periodici fuori dal mio paese». Il suo primo
viaggio all'estero è stato finanziato da diverse organizzazioni non governative
e da sua sorella che vive negli Stati Uniti.
A Cuba sta
cambiando qualcosa?, chiedo. «Stanno accadendo cose importanti, ma soprattutto
mi rendo conto che i cubani sono stufi». Può esserci castrismo senza i fratelli
Castro? «Il carisma di questi leader non si trasferisce. A Cuba il seggio
presidenziale è stato ereditato per diritto di sangue (Da Fidel a Raúl)... È
triste che una nazione per riprendere vita debba riporre le sue speranze nella
morte di una persona, ma ci hanno portato a questo».
Yoani ama citare
una frase di Gandhi: «I tuoi nemici prima ti ignorano, dopo ridono di te,
infine ti attaccano». Yoani sta vivendo la terza fase. Le minacce personali e
nei confronti della famiglia, fanno parte della sua professione di giornalista.
Ma sa di essere diventata il simbolo della speranza di libertà e di un
cambiamento democratico a Cuba.
Cuba può cambiare?
«Io da sola posso fare poco, ma siamo in molti».
Jorge Ramos Avalos
Traduzione di Gordiano Lup
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